LIONVILLE: Lionville
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12/06/2011Stefano Lionetti è un'artista genovese sconosciuto ai più, ha una manciata di brani AOR in testa. Incontra Alessandro Del Vecchio ed il batterista, nonchè anima degli Shining Line, Pierpaolo Monti, fa ascoltare loro qualche idea che li lascia senza fiato. Non contenti, il trio pensa a quel mostro di bravura che è Lars Safsund dei Work Of Art alla voce, a Bruce Gaitsch per quel che riguarda le chitarre, e un sublime regalo come un pezzo scritto con Richard Marx. Con tutte queste premesse, il disco rispetterà le attese? No, assolutamente. Le supera. Racchiuso in un mero concetto, questo prodotto è semplicemente di grandissima classe, AOR con qualche alone di west coast, paradossalmente unico come anima e ispirazione, quindi niente "tributi vari", ed alla fine suona perfetto in tutto: costruzione, melodie, arrangiamenti e qualità espresse dai musicisti coinvolti. Safsund non è una sorpresa, è oramai pura magia, e lo stesso Del Vecchio è eccellente e a suo agio molto più qui che in altri suoi progetti. Come similitudine di band siamo al cospetto di un misto di quanto ascoltato l'anno scorso con i Vega e WET per quel che concerne i pezzi più tirati, e Work Of Art per tutto il resto. Una bomba, insomma. Ad essere veramente onesti non c'è un filler neanche a pagare, forse l'unica eccezione è "Centre Of My Universe" per l'eccesso di tributo ai Toto, anche se il pezzo non è di certo brutto. Se un appunto qualitativo o tecnico bisogna trovarlo, forse c'è da riflettere sul fatto che questo disco doveva essere cantato solo da Safsund perché, per quel che riguarda timbrica, colori, emozioni e pronuncia inglese surclassa Stefano con il quale duetta, oppure lascia il microfono in tre brani; per carità, ha una buona voce ed estensione, tuttavia non paragonabile all'asso svedese. Comunque, impossibile scegliere un brano che si elevi sopra gli altri, troppa carne al fuoco, anche se Arabella Vitanc degli Alyson Avenue è fantastica in "The Chosen Ones"; "Dreamhunter" ha un inciso indimenticabile ed una costruzione perfetta, bellissimi il solo e l'ingresso nell'ultimo ritornello; "Say Goodbye" è una ballata di chiusura da lacrime. Meglio fermarsi per evitare un track-by-track che, in quest'occasione, sarebbe d'obbligo, concludendo che questo disco è alla pari dei prodotti di Treat, WET e Work Of Art. E che goduria quando, ogni tanto, un disco non suoni "italiano, raffazonato, improvvisato". Questo è un capolavoro internazionale. Assoluto.
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