SOILWORK: THE CHAINHEART MACHINE
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30/11/2005Nell’immediato periodo successivo al loro buon debutto “Steelbath Suicide”, i Soilwork erano una delle tante band svedesi che si agitavano freneticamente nell’underground scandinavo alla ricerca di attenzione; certo il lavoro precedente aveva già fatto rizzare le orecchie ai cultori di certe sonorità, che avevano ritrovato nel combo di Helsingborg quell’alchimia magica di band come gli At The Gates; nessuno si sarebbe aspettato granchè dal secondo album dei nostri, invece “The Chainheart Machine” si è rivelato non solo un disco di thrash/death melodico con gli attributi, ma anche il biglietto di andata per firmare un agognato sodalizio con Nuclear Blast. I Soilwork fanno un passo in avanti rispetto a “Steelbath Suicide” e compiono il miracolo di consegnarci un platter tutt’altro che sperimentale ma al tempo stesso doveroso di menzioni per numerosi anni; il classico thrash atthegatesiano del debut ha lasciato spazio ad un sound che se da una parte estremizza e fa abbondare la componente più thrash, dall’altra porta le tipiche melodie e armonie svedesi su un livello superiore; sbalorditivo in tal senso il gusto per gli arrangiamenti solisti di “The Chainheart Machine”, con Frenning e Wichers a tessere in continuazione lick melodici e duelli chitarristici mai fini a sé stessi. La title track, tuttora uno dei brani migliori della band, è un giusto riassunto preventivo dell’album, che sa spaziare eccellentemente da pezzi sostenuti come “Bulletbeast”, l’anthem “Generation Speedkill”, “Machine Gun Majesty” o “Possessing The Angels” a composizioni più articolate, si veda “Millionflame”, l’epica “Spirits Of The Future Sun” o la conclusiva “Room No. 99”. Un album dalle credenziali maiuscole, che ora come ora, visto l’andazzo dei Soilwork (certamente non disprezzabile) andrebbe magari riscoperto e risascoltato, soprattutto da chi si è avvicinato in tempi troppo recenti a Speed e compagni.
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