INDIVIA: Horta
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06/09/2016Bucolici, vegani, o solo amanti della natura gli Indivia, che prendono il nome dalla pianta commestibile "Cichorium endivia" (una insalata in sostanza), sono una realtà tutta italiana, un power trio alla loro seconda prova su disco ed artefici di uno stoner metal di matrice classica influenzato da massicce dosi di doom e da leggeri sprazzi di psichedelia. Il disco di cui andiamo a parlare, lo si precisa fin da subito, è un disco totalmente strumentale; la band canalizza tutte le sue energie espressive nella sola melodia, sufficiente a dare forma ad ogni elucubrazione, e collocandosi quindi come una sorta di jam band. Passando all'ascolto, fin dalla prima traccia, "Dharma", tutto ci è fin troppo chiaro, abbiamo a che fare con una band dalla sonorità massiccia, come da buona tradizione stoner e con forti influenze seventies, ciò è percepibile nel basso distorto e roboante di Diego e nel muro di suono grezzo e "fuzzoso" di Andrea alla sei corde. "The Green Planet", seconda traccia del platter, rappresenta un interessante connubio tra vecchio e nuovo, tra stoner a tinte acide e passaggi di matrice prog-rock, inoltre la traccia si ricollega al concetto "verde" del gruppo, percepibile, come abbiamo già detto nel moniker scelto ma anche nell'accattivante artwork del disco dal sapore esoterico-vegan. La terza traccia "Hyperion" sappresenta il brano maggiormente rappresentativo di un'altra caratteristica del sound dei nostri, che li può rendere accomunabili a gruppi quali gli Sleep, solo per citare uno dei nomi più di spicco del panorama: la ossessività delle melodie. La potenza dei ritmi e dei riff, per lo più semplici ma efficaci, ripetuti in maniera ipnotica alla stregua di un mantra evocativo di una qualche misteriosa divinità. Andrea dimostra di saper macinare riff su riff in maniera instancabile, disinvolta, mai macchinosa, le note fluiscono come un fiume in piena di idee di feeling e sono ben supportate dal comparto ritmico che contribuisce a creare quel muro sonoro che ti investe senza pietà e ti abbraccia facendoti sentire parte della musica, a tal riguardo è sicuramente da menzionare la travolgente "Ciò Che Non Tradisce". La chiusura di un disco intenso è affidata a "Re-Growth" una traccia che presenta interessanti controtempi e un buon pattern di batteria nelle prime battute e che successivamente ritorna sui ritmi lenti e ripetitivi che hanno dominato l'intero disco. Sicuramente questo disco non costituisce un punto di svolta nell'ambito di un genere saturo di gruppi simili tra loro, tantomeno possiamo cogliere tratti di originalità. Possiamo sicuramente affermare che la produzione è ben curata e che sussiste un forte feeling tra i membri della band, cosa percepibile nelle dinamiche dei brani, d'altra parte l'assenza di brani cantanti e l'assenza soprattutto di parti soliste di chitarra, capaci di dare maggiore colore alle composizioni e smuovere l'ascoltatore, alla lunga potrebbe annoiare e rivelarsi un fattore penalizzante.
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