HYPOCRISY: THE ARRIVAL
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02/02/2004Gli Hypocrisy sono sempre stati una band strana. Dopo un paio di album fedeli agli stilemi death metal tanto in voga nei primi anni '90, l'ensemble capitanato da Peter Tagtgren ha attraversato diverse fasi di sperimentazioni, ritorni alle origini e chi più ne ha più ne metta. In sincerità, i precedenti "Into The Abyss" e "Catch 22" avevano scontentato un po' tutti, il primo troppo ancorato alla furia cieca e alla devastazione degli esordi, il secondo reo di aver messo fin troppa carne sul fuoco, tra influenze rock, crossover e elettroniche. "The Arrival", album che sancisce l'ingresso nel gruppo di un secondo chitarrista in pianta stabile, doveva essere un ritorno ai fasti di "Abducted", capolavoro tuttora ineguagliato della band svedese; se questo è vero solo a metà, è anche vero che la nuova fatica degli Hypocrisy è un ottimo lavoro solo a metà. L'apertura è ottima, con un poker d'assi che difficilmente vi darà tregua... "Born Dead Buried Alive", ottima testimonianza delle radici thrash di Tagtgren, "Eraser", song che sembra provenire direttamente dal songbook degli In Flames e highlight dell'album per la quale è stato girato un video, le melodicissime e rock-oriented (l'influenza del progetto Pain si fa sentire non poco) "Stillborn" e "Slave To The Parasites". E poi? E poi "The Arrival" pare accartocciarsi su sè stesso, si perde e diventa un gradevole sottofondo musicale, niente di più. Il che, per una band del calibro degli Hypocrisy, è preoccupante. Non c'è nulla che realmente non vada in questo disco, tranne come ho avuto modo di dire, una seconda metà non all'altezza del resto del lavoro, ma tutto ciò non pregiudica di certo "The Arrival", probabilmente il lavoro più riuscito dei tre (ora quattro) svedesi da un po' di anni a questa parte. Del resto ve l'ho detto che gli Hypocrisy sono sempre stati una band strana...
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