FELIPE ANDREOLI: Resonance
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13/10/2021Recensione retrospettiva come l’art work della cover dell’album: polvere di caffè sotto l’effetto di frequenze sonore. Prende il nome di “risonanza”, infatti il primo album da solista dello storico bassista degli Angra. E’ un prodotto artigianale di ottima fattura. Felipe il maniscalco, da timido artigiano, compone, suona e autoproduce un lavoro intimo, personale, e nel concretizzare il suo progetto, si circonda inizialmente di “relazioni positive” con musicisti a noi sconosciuti e, successivamente di professionisti di fama internazionale che lo hanno influenzato musicalmente. Tanti nomi, ma nessuno in grado di sovrastare e offuscare il suo basso e mettere in ombra il suo punto di partenza, il suo “IO”. Una grande linea di basso è come un mantra, porta comfort; potrebbe ripetersi all’infinito senza mai stancare. E ‘Resonance’ porta serenità, rifocilla, aggiusta tutto. E’ musica curativa. Non ti fa allontanare. Ma ti fa interagire sempre più con te stesso ascoltatore. Ed è proprio nel suo ascolto che senti risuonare e vibrare i suoni che Andreoli ha creato. Perché non inserire delle voci? E perché inserirne solo una? E poi quella di Dino Jelusick. Quante domande! Felipe Andreoli fa una scelta ben precisa: una sola traccia cantata e oltretutto la ripropone come ultima traccia solo strumentale, a voler rimarcare la sua filosofia: IO SONO IL BASSO! Io creo, io do origine a tutto questo e gli altri musicisti arrichiscono. ‘Resonance’ è un elogio allo strumento basso, oltretutto decantato da un musicista che nasce come chitarrista! Testi e voce potrebbero sporcare la sua filosofia. Se vi piace ‘Awake’ (Dream Theater), ‘The Radio Waves Goodbye’ (John Macaluso & Union Radio), ‘Burn The Sun’ (Ark), allora il lavoro solista di Felipe fa al caso vostro. Il suo è un percorso meno cupo e oscuro, tinto di un’atmosfera solare jazz, fusion, in sottofondo, che lo allontana dal suo abitudinario percorso metal, in un sentiero alternativo portentoso! Alto contenuto musicale. Lo strumento basso sempre al servizio dei brani. La sua tecnica (tapping, pizzicato a tre dita, slapping) si adatta perfettamente allo stile di ogni traccia. Efficace nel concepire linee di basso riconoscibili, come gli arpeggi finali di ‘Driven’ che snelliscono la furia che ti investe nel primo ascolto. In ‘Resonance’ la linea di basso sotto e la linea di chitarra sopra, corrono su piani sovrapposti in giri paralleli, ma sempre ben coesi. "Thorn In Our Slide" è un capolavoro da assaporare con gusto, e sicuramente è un buon punto di partenza per un successivo progetto non più strumentale! Dino ricorda Jorn. E la “disciplina clinica” di Simon Phillips contribuisce a creare un suono della batteria corposo; crea energia cinetica nell’aria, ricche risonanze. Pelli tirate e velocità nell’alzare velocemente la bacchetta dopo il colpo generano un ottimo suono, che si miscela perfettamente con le note emesse dal basso. Pronti per la purificazione? "Not A Day Goes By" è catartica, le sue orchestrazioni aggraziate che fanno parte di un’altra sfera musicale. ‘Metaverse’ si riaggrappa per un istante alla traccia precedente, per poi ripescare il sound heavy iniziale: la batteria di Virgil Donati diventa più brutale con i suoi colpi doppi e, scale a vortice alla Dream Theater, si contrappongono alla tastiera, che introduce un’atmosfera più melodica tra i guaiti di chitarra di Andrè Nieri e lo slap del basso che sembrano urla e stridi. Poi arriva l’interruzione, ma senza il cadere della moneta (Ark). Loop magnetici della chitarra di Breet Garsed in "Neutron Star". Tipici passi progressive pieni di note in "Chaos Theory", resi più jazz in "Down The Line" con la chitarra di Guthrie Govan. Per finire un effetto cinematografico e spaziale con "Sagan", struggente e malinconica: qui la tecnica è al servizio di uno stato cosmico.
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