FALKENBACH: OK NEFNA TYSVAR TY
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18/04/2003Terzo lavoro per la creatura del polistrumentista e unico compositore Vratyas Vakyas, "Ok Nefna Tysvar Ty" si candida a fianco dei nuovi lavori di Doomsword e Graveland come disco più epico di questo 2003 che non ha lesinato sorprese riguardo a tutto ciò che di mitologico e leggendario c'è nel mondo dell'heavy metal. Stavolta Vratyas ha fatto le cose in grande: per la prima volta il nostro guerriero è affiancato da tre compagni d'avventura (Boltthorn, Hagalaz e Tyrann) che lo coadiuvano con batteria, chitarre acustiche e voci. In particolarmodo la presenza di una vera batteria (e non più della drum muchine), conferisce a questo disco un feeling molto più "vero" e sentito, rimediando ai difetti dei rpecedenti lavori che erano in parte vanificati proprio dal drumming piatto ed inevitabilmente irreale. E non è questa l'unica novità: i Falkenbach infatti allo stato attuale delle cose hanno rinnegato completamente le loro reminiscenze black (lo screaming compare per pochi momenti in una sola canzone del disco), tramutandosi in uno splendido progetto di folk metal che punta più sull'atmosfera che sull'aggressività vera e propria. Straordinarie infatti sono le partiture di fiati e archi che arricchiscono il disco, e mettono decisamente in secondo piano le chitarre distorte, che si limitano al ruolo di accompagnamento, lasciando il posto agli strumenti acustici e alla bella voce di Vratyas, che ha possibilità di esplorare tutta la sua gamma di intonazioni melodiche grazie a questo "addolcimento" del tiro. A tratti il disco può essere definito "heavy metal" solo grazie alla presenza del drumming monolitico di Bollthorn, per quanto si sono dilatate le composizioni e rilassate le tentazioni più estreme. La principale influenza sono come sempre i Bathory di "Twilight of the Gods", che con i loro riff ampi e soffusi sembrano aver parecchio influenzato la musica di Vratyas, che a livello chitarristico non è poi molto cambiata rispetto al passato, visto che le innovazioni sono da individuarsi in ambito orchestrale/acustico, e soprattutto nel diverso approccio che i Falkenbach hanno al metallo epico: le atmosfere evocate non solo sono incredibilmente antiche e leggendarie, ma anche, a tratti, dolcemente malinconiche. Si ha l'impressione di impersonare non un guerriero vichingo assetato di sangue, ma un vecchio che nostalgicamente racconta le gloriose imprese del suo popolo ai nipotini ancora piccoli, ed è incredibile come Vratyas abbia intriso di decadentismo e nostalgia un'opera che rimane comunque epica a tutto tondo e carica di feeling mitologico. Un piccolo problema del disco è, come sempre, una certa monotonia, ma ci si passa volentieri sopra quando assistiamo a veri capolavori come "Vanadis", che credo sia senza dubbio la miglior canzone mai scritta nei nostri, aggressiva e battagliera nelle parti affidate allo screaming quanto coinvolgente e sentimentale nelle clean vocals, oppure anche la splendida "Farewell", cadenzata e tipicamente folk nell'andatura quasi "a filastrocca". Di rilievo anche la nuova versione della storica "...The Ardent Awaited Land", trasformata in un breve ma bellissimo brano acustico posto in chiusura alla sognante "Donar's Oak". Insomma, Vratyas ha sfornato davvero un gran bel disco, dedicato a tutti quelli per cui epicità significa atmosfera, leggenda e un pizzico di sogno. Hail Wotan!
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