EXODUS: SHOVEL HEADED KILL MACHINE
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05/10/2005Dopo il terremoto in seno band di qualche tempo fa, al quale della line-up originaria è sopravvissuto il solo Gary Holt, avevo ben poca fiducia negli Exodus. Insomma, Holt si è sempre dimostrato songwriter di razza, passi Bostaph che è una garanzia, ma alla voce? No dico, una band che ha avuto dietro il microfono gente come Baloff e Souza si ripresenta con uno sconosciuto totale, cosa dovremmo pensare? Ansia. Fortunatamente, il rischio non ha fatto che bene alla band californiana, che si ritrova ora una line-up di tutto rispetto (Bostaph e Altus nella stessa band non è roba da tutti i giorni) e un singer destinato a far dimenticare persino il paffuto Zetro. Il timbro vocale di Dukes infatti, aspro e strafottente quanto basta, incorpora tutte le caratteristiche adatte ai tipici brani degli Exodus; se dovesse rendersi necessario un paragone, vi direi di immaginare uno Zetro decisamente meno tirato ed esagerato (con tutta la stima che posso avere per il baffuto ex-vocalist, quando ci si metteva era piuttosto fuori luogo) con qualche sfumatura di Baloff e Araya. Risolto il problema singer, passiamo alla sostanza del nuovo album. Fin dalle prime note dell’opener “Raze” spicca la produzione, molto meno brillante e sfrigolante rispetto a “Tempo Of The Damned”, decisamente più grassa, satura e schiacciaculi; brani più complessi, lunghi, groovy e variopinti che in precedenza rendono “Shovel Headed Kill Machine” un macigno di pura potenza. La già citata opener, “Deathamphetamine”, i tipici mid-tempo Exodusiano che si incarnano nelle note di “Shudder To Think” o “Altered Boy” e la furia bellica dei due pezzi conclusivi, “44 Magnum Opus” e la title-track, tanto intricato tecnicamente il primo quanto breve e velocissimo il secondo. Non c’è un brano sottotono, a ben vedere, soprattutto se si ascolta un po’ di volte il tutto e lo si assimila per bene. Vi dirò di più, faccio addirittura fatica a scegliere un pezzo preferito. ‘Nuff said.
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