CIRITH UNGOL: FROST AND FIRE
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24/08/2003Dopo una serie di vicissitudini che portarono i defunti Galligan family a trasformarsi prima in Titanic e poi in Cirith Ungol, la band fondata nel lontano 1972 da Rob Garven, Jerry Fogle e Greg Lindstrom, giunge all'esordio discografico con un disco che riassume il suo passato heavy/psych e le recenti intuizioni che in breve porteranno alla nascita dell'intero movimento Epic Metal. "Frost and Fire" è un disco strano, che oggi come oggi, vuoi per la produzione, vuoi per le tematiche, vuoi per l'attitudine molto seventies, suona molto "vecchio" e inattuale, ma contiene al suo interno una manciata di semi che di lì a poco sarebbero germogliati tra le rocce dell'aspra e cruda musica dei nostri, che già qui assumeva connotati oscuri e in qualche caso vagamente epici. L'unica caratteristica che accomuna "Frost and Fire" alla restante discografia della band è probabilmente la fantasia e l'incontenibile eclettismo compositivo dei nostri: infatti, se la base di questo disco è prettamente un heavy rock psichedelico di matrice sabbathiana e debitore ai fasti di bands americane come Uriah Heep e Mountain, troviamo tutta una serie di soluzioni strane e sorprendenti che vanno dai synth e dai continui sbalzi di tensione di "Edge of a Knife" alla voce di Tim Baker ancora acerba e non certo peculiare e distintiva come nei futuri lavori della band, ma già riconoscibile per il suo sgraziato stridio accoppiato a una base musicale ancora sostanzialmente melodica. Discorso a parte poi meriterebbe la strumentale "Maybe that's Why" in pratica una ballad su cui cantano le grandi chitarre di Jerry e Greg, che si dimostrano capaci di intensi virtuosismi e grande musica. Senza dubbio i maggiori elementi di novità sono nei primi due pezzi, che possono senza troppe remore essere considerate le prime due grandi epic metal song della storia: "Frost and Fire", veloce sferzata di heavy metal priestiano con una cavalcata micidiale a guidare le strofe e un giro di chitarra decisamente d'altri tempi, oltre che un roboante chorus che farà scuola, e la cangiante "I'm Alive", un costante alternarsi di protodoom sabbathiano e esplosivi ritornelli inusitatamente solari e vitali. E' insomma chiaro che "Frost and Fire" è un disco embrionale, tipicamente giovanile, ma piacevolmente imprevedibile e oscuro, estremamente debitore al passato dei nostri, che compensa le sue evidenti carenze dal punto di vista della coesione e dell'efficacia con una genialità davvero fuori dal comune, che dopo soli quattro anni esploderà in tutta la sua magnificenza.
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