CANDLEMASS: CANDLEMASS
data
25/07/2005Candlemass: eroi del doom, maledetti officianti del rituale più oscurantista e profetico nel mondo dell'heavy metal, forse la band che più di ogni altra rappresenta, nel cuore dei pochi ma devotissimi fan, l'anima di un genere snob e snobbato, occulto e occultato, ignorante e ignorato qual è e sarà sempre il doom metal. E il nuovo disco dei Candlemass, simbolicamente autointitolato e atteso come manna dal cielo da ogni doomster che si rispetti, non poteva che essere un tributo e un ritorno alle sonorità più ortodosse, reazionarie e antiprogressive, se non altro per il ritorno dell'unica e sola "Voice Of Doom", il panciuto e inquietante frate nero Messiah Marcolin. Magari la partenza in quarta, col compattissimo 4/4 di "Black Dwarf" e il riffing giocato su velocità più che coraggiose, potrebbe trarre in inganno, ma le chitarre sulfuree da sempre trademark della band, e il successivo caldeggiato (e godurioso) ritorno al più autentico epic doom non lasciano dubbi: i Candlemass sono tornati a suonare come se i quasi vent'anni che ci separano dai due riconosciuti masterpieces "Epicus Doomicus Metallicus" e "Nightfall" non fossero mai passati, e ci rovesciano addosso senza tregua tempi lenti e monolitici, riff massicci che suonano come la versione ulteriormente rallentata ed epicizzata dell'irrinunciabile lezione Iommiana, il tutto bene(male)detto da una prestazione vocale prevedibilmente da urlo. Sorprende l'eccelsa qualità di brani che (seppur lievemente vecchiotti) riescono ad esaltare pur senza sorprendere, come la clamorosa "Assassin Of The Light" o la brutale sferzata d'intenzione Sabbath di "Born In A Tank". Le somiglianze (presumo involontarie) col sound dei Manilla Road riscontrabili nella melodica e sognante "Seven Silver Keys" tolgono ogni dubbio sull'effettiva epicità del vetusto Candlemass-sound, così come le partiture astrali e litaniche della liturgica "Copernicus", mentre l'anima più nera e depressiva della vena compositiva di Leif Edling emerge nella bellissima e accorata "Spellbreaker", monolito di nerissimo e ancestrale doom metal che culmina col sofferto ritornello, in cui la scelta di lasciare che siano solo i polmoni del Messiah a suonare infonde ancora maggiore pathos a un "the mother of life is a whore" d'indubbia efficacia. Inutile elogiare l'ottima produzione (anch'essa ottantiana come pochi) e l'eccellente esecuzione, doveroso invece evitare facili entusiasmi: "Candlemass" è sì il nuovo disco dell'omonimo mito, ma suona più d'una volta fin troppo sicuro e prevedibile. Il tutto rimane bello e valido, per carità, ma a volte l'aria che si respira è davvero troppo satura di nostalgia, e la band sembra voler giocare le sue carte con eccessiva sicurezza, evitando quel pizzico di coraggio che avrebbe reso il disco realmente immenso. Ma suppongo che al vero doom di tutto ciò "non je ne pò fregà de meno", vero?
Commenti