BEARDFISH: THE VOID
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04/09/2012Dopo appena un anno di distanza dall'uscita di 'Mammoth', gli svedesi Beardfish pubblicano 'The Void', loro settimo disco in studio che, fin dai primi ascolti, stupisce per il perfetto equilibrio tra melodie cristalline e arrangiamenti strumentali ricchi di tecnica ed inventiva. Questi quattro progster scandinavi, infatti, hanno la capacità di non essere mai troppo pedanti e autoreferenziali neanche quando le parti strumentali dei loro brani diventanto particolarmente ostiche e strutturate, riuscendo sempre a trasmettere un certo calore compositivo. Nel loro stile convivono sempre influenze progressive di diversa natura, con un occhio di riguardo sia ai gruppi cardine del progressive rock inglese (Yes, King Crimson e Camel), e sia a quelli appartenenti al filone del prog metal statunitense (Fates Warning ad esempio), sciorinando tra l'altro un vasto ventaglio sonoro (coadiuvato bene dalle tastiere di Rikard Sjöblom) di sicuro interesse. Inizialmente i nostri presentano dei brani molto aggressivi, con stacchi di chitarra imperiosi e complicate ritmiche di batteria spesso in controtempo, con melodie che si insinuano in modo sottile nelle orecchie dell'ascoltatore, creando un tutt'uno di grande impatto comunicativo che nell'insieme fila liscio come l'olio. Con "They Whisper", invece, si tuffano direttamente all'interno dello "Yes sound" con atmosfere melodiche e quasi fantascientifiche, con conseguenti armonizzazioni vocali e parti di organo che danno grande respiro agli arrangiamenti, mentre "This Matter Of Mine" risulta molto più potente e sorretta da strutture ritmiche assolutamente vorticose e intricate, con stacchi chitarristici che più di una volta ricordano i King Crimson del periodo 'Red'. Dopo cotanta bontà strumentale i musicisti piazzano ancora dei brani di grande spessore strumentale, ad alto tasso prog, come la strumentale e tastieristica "Seventeen Again" che nuota attraverso diversi umori e stili musicali, partendo dal jazz fino ad esplorare soluzioni riconducibili al prog barocco e sinfonico, con numerosi intrecci strumentali ad opera dell'organo e della batteria che, invece, risultano leggermente dimessi nel successivo "Ludvig & Sverker", brano composto da atmosfere melodiche e leggermente uggiose che non possono non ricordare certe cose dei Camel. La palma al miglior brano in assoluto del disco spetta però alla lunga (quasi sedici minuti) "Note", sorta di minisuite composta da innumerevoli umori musicali e numerosi ricami strumentali ad opera di tutti gli strumenti. Le tastiere variano sempre a seconda della situazione, suonando ora più decise, ora più morbide (degne di nota, in questo caso, le divagazioni squisitamente classiche ad opera del pianoforte), con la chitarra che svolge un lavoro assolutamente pregevole attraverso riff e assoli dalla diversa andatura. Finale invece affidato alla bella "Where The Light Are Low", dove la chitarra riesce a dispensare soluzioni musicali davvero molto avvolgenti.
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