ALLEN / LANDE: The Showdown
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27/10/2010Terzo capitolo per le due formidabili ugole rispettivamente dei Symphony X e dei Masterplan. La mente di tutto è il sempre verde Magnus Karlsonn che oltre alla produzione suona il suonabile ad eccezione della batteria (affidata al solito Jaime Salazar, noto per il lavori con i Last Tribe, Opus Atlantica e Bad Habit), ed è inoltre il solo autore dei tredici brani qui presenti. Le premesse erano che quest'opera sarebbe stata una via di mezzo tra i primi due dischi, l'esordio più commerciale, il secondo più orientato sull'heavy più classico. Il risultato si può dichiarare quasi raggiunto. Lo stile non si allontana molto dai primi due capitoli, anche se forse sono necessarii più ascolti per apprezzare appieno questo disco in modo da rendersi capaci di essere di fronte ad uno degli highlight dell'anno. Jorn Lande si riprende dopo lo scivolone del tributo a R.J. Dio, passo falso provocato forse più per il rumore suscitato dal volere approfittare della situazione che per il contenuto del prodotto stesso. Russell Allen è incredibile come al solito, veramente uno dei più grandi cantanti della scena americana di oggi. Questo 'Showdown' strizza più l'occhio al melodico, a qualcosa più vicino ai Whitesnake della fine anni '80 che dei Primal Fear di Magnus o gli stessi Symphony di Allen di oggi. Il singolo "Judgement Day" , per il quale è stato girato anche il relativo video, non è altro che la riprova di quanto sopra nelle parti cantate; nelle parti strumentali si entra invece nella terra power ed in certi frangenti in quella symphonic metal. Se di novità possiamo parlare, appunto, possono essere queste, nel precedente lavoro Dennis Ward aveva dato un'impronta un po' più heavy, qui il connubio tra melodie ed orchestrazioni possenti rende questo terzo capitolo moderatamente unico. Straordinarie le prove vocali di entrambe nelle ballad, "Copernicus" oppure "Eternity" dove è arduo scegiere la migliore, il mid-tempo "Never Again" forse è il brano però più riuscito del disco. "We Will Rise Again" ricalca ancora quell'hard rock alla Whitesnake condito da un alone teutonico alla Pink Cream 69 degli ultimi tempi. Ovvio che delle critiche si possono muovere a Magnus ed alla sua banda, solo che ci si sente quasi maligni a trovarne. Pare oramai evidente lo stile di scrittura del biondo svedese: si parte con un pianoforte o un'orchestra che propone un motivo, sempre docile e soave per poi scatenare un mid tempo, oppure un hard rock martellante, strofa tranquilla per poi incalzare nel pre e nel ritornello, assolo con parti moderatamente orchestrali di contro canto. Se notate, questo si ascolta e si nota dagli Strabreaker e Last Tribe così come in questa trilogia. Non che la cosa sia drammaticamente negativa, anzi. Il problema è che alla lunga si sa già cosa ci si aspetta, rimane il sapore di un moderatamente scontato e di troppe similitudini con altri quaranta pezzi dello stesso artista. Certo, anche gli AC/DC sono trentacinque anni che fanno lo "stesso riff", con il piccolo particolare però di essere unici. Magnus purtroppo non lo è, e questo stile rischia di stancare. Ogni artista nella sua carriera si rinnova, si evolve, esplora, sperimenta, sbaglia, crea e distrugge. Forse questo lo svedesone non l'ha ancora fatto, squadra che vince non si cambia, però dovrebbe comunque farci un pensierino. Tralasciando il discorso di cui sopra e concentrandoci unicamente su questo lavoro, rimane comunque la certezza di prodotto di altissimo valore, sicuramente un disco che chiude un anno di ottime uscite create dalla Frontiers, e 'The Showdown' ne entra a far parte prepotentemente.
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