AHAB: The Boats of The Glen Carrig
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24/08/2015Mettiamocelo bene in chiaro: 'The Call of The Wretched Sea' rimane una pietra miliare unica e irripetibile non solo nella discografia degli Ahab, ma per l'intera scena doom mondiale. Chiunque oggi spera di riascoltare quei riverberi capaci di rimembrare le onde del mare in tempesta che si frastagliano sugli scogli, distruggendo colpo dopo colpo le secolari rocce, mentre una baleniera combatte contro madre natura cade in errore, perché di quel primo album è rimasto solo un ricordo. Tra 'The Divinity of Oceans' e 'The Giant' gli Ahab hanno macinato nuove esperienze, veleggiando verso nuovi orizzonti musicali, alleggerendo di molto il carico del loro veliero molo dopo molo, ma non troppo da sbilanciare l'equilibrio, rendendosi un gruppo accettabile anche per le fidanzate più ostiche che proprio non ne vogliono sapere che tu sia non solo metallaro, ma pure depresso. 'The Giant' però era fin troppo sbilanciato; non faceva venire il mal di mare. Riequilibrati meglio gli elementi funeral a quelli più melodici con voci pulite stavolta meglio distribuite, anche se continuano a lasciarmi nel dubbio sulla loro reale qualità e versatilità, il nuovo 'The Boats of The Glen Carrig' colpisce l'ascoltatore meglio del suo predecessore che tutt'ora considero un passo falso. I temi sono sempre quelli, l'oceano e la letteratura. In questo caso particolare il concept dei testi prende spunto dall'omonimo libro di William Hope Hodgson, rendendolo senz'ombra di dubbio l'album da ombrellone in alternativa al solito romanzo Harmony, comprato in edicola a soli due euro, per chiudere la stagione estiva a chi potrà godere delle ferie solo questo settembre, utile anche per allontanare ogni qual si voglia tenace animatore turistico pensi solo che un metallaro al mare abbia voglia di fare danze neo caraibiche sotto al sole. Lo dissero del predecessore, ma preferisco confermarlo con questi: per chi non macina molto il genere e vuole avvicinarsi senza gettare vomito e sangue su parenti e amici durante un esorcismo, gli Ahab di oggi sono il consiglio per eccellenza. Se paragonati agli inizi paiono più un gruppo melodic death doom per tutta la famiglia, che almeno non corona ogni chiusura di traccia con l'augurio che il suo già ristretto pubblico si sfoltisca nello scorrere del tempo, anche se credo la notizia nel caso qualcuno muoia affogato sotto la doccia ascoltandoli poi tanto tristi non li renderebbe. Scherzo ovviamente, ma loro sono seri e vogliono che tu sia il loro prossimo fan. Ancorato agli inizi non sono andato in schizofrenia per quest'ultimo album, anche se la terza traccia "Like Read Foam (The Storm)", di cui ci avevano già stuzzicato con un particolare video contro la tortura, è entrata di diritto nella mia playlist. La prima traccia "The Isle" invece è stata un pugno nello stomaco a causa della sua fuorviante introduzione, unico neo che viene subito messo in ombra dalla vastità dell'intero ascolto. Non mi ha fatto impazzire, e forse è perché sono io quello strano. Sicuramente questi cinque pezzi macineranno fior fiore di tempeste nei futuri concerti, augurando loro tu che stai leggendo corra a prendere il suddetto album prima della fine della stagione calda, e ne goda sotto l'ombrellone in una tranquilla giornata di mare in tempesta.
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