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DEEP PURPLE

E' impressionante come, nonostante l'anzianità, l'assenza pluriennale dal mercato discografico (chè sulle ultime uscite dei Purple è meglio stendere un velo pietoso) e una serie di date consistenti sul territorio italiano, i Deep Purple riescano ancora a riempire un palazzetto capiente come quello di Jesolo. Certo è un buon segno. Ad aprire la gremita serata ci pensa Maurizio Solieri con la sua band, composta come da copione di musicisti eccellenti, tra cui il drummer di Zucchero e il noto Michele Luppi (a voce, divisa con lo stesso Solieri, e tastiere). Pochi pezzi di hard rock/blues abbastanza sui generis, che non fanno sbadigliare solo perchè suonati da professionisti e impreziositi da una tecnica strumentale intoccabile. C'è spazio anche per un brano di Vasco ('C'è Chi Dice No'), e poi finalmente spazio agli headliner. Sulle note di Highway Star (apertura azzeccatissima!) fanno il loro ingresso sul palco i cinque britannici (che ormai sono solo tre, ma non importa), in forma smagliante come sempre, e pronti ad entusiasmare l'audience veneta per due ore buone. Sugli scudi fin dall'inizio il solito, impeccabile Steve Morse (che non sente il peso degli anni neanche un po', e sullo strumento è senz'altro il più preciso ed entusiasmante della formazione), mentre per Ian Gillan gli anni passano sempre più, e le urla belluine della stessa Highway Star, o di qualsiasi altro brano, fanno più pena che altro. Ma la scaletta convince, e del resto è praticamente uguale a quella di tutti gli anni (inclusi i soliti, pessimi estratti da Rapture Of The Deep), e mi limito a dire Fireball, The Battle Rages On, Hush, Black Night, Space Truckin, Smoke On The Water (non se ne può più). Bravi come sempre, in un concerto prevedibilissimo, ma quasi privo di pecche, e di conseguenza poco criticabile. Sono i Deep Purple.

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