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MUSICA IN CRISI: Chiuderemo tutto?

Concertsez

La musica è passione, è sentimento, è adrenalina, è riflessione, è odio e amore allo stesso tempo. Quando ascolti un disco a casa o in auto, mentre vai al lavoro o quando sei in viaggio verso una meta lontana, l’accompagnamento musicale diventa una sorta di colonna sonora della via da percorrere. L’apice di questa esperienza la si percepisce quando sei a contatto diretto con gli artisti che dal vivo sfoderano i loro brani con tutta la loro potenza sonora e passione viscerale. Si creano momenti in cui tutti i pensieri vengono lasciati alle proprie spalle, e ci si lascia coinvolgere assieme agli amici di sempre, o a persone conosciute solo in quel momento che probabilmente non si rivedrà mai più, producendo una forza che dall’interno fuoriesce e che nessuno potrà fermare. Ci sono luoghi dove questa passione viene enfatizzata in maniera globale, dove non c’è solo l’ascolto musicale in sé, ma a contorno c’è il confronto sociale, ci sono le discussioni animate davanti ad un cocktail o ad una buona birra, ci sono momenti di scambio culturale fervido e colorato. Insomma, attorno alla musica esiste e si percepisce un fermento vitale che, forse, poche altre arti riescono a produrre con eguale potenza.

Il problema inizia quando queste realtà, questi luoghi di aggregazione, lentamente iniziano a mancare. Mancando queste realtà, inizia a mancare (o quantomeno a ridurre) quel filo conduttore che unisce gli appassionati di musica, altrimenti pronti a seguire una certa scena musicale e certi ambienti divenuti nel tempo familiari. Si accentua la sfiducia verso un sistema che, al contrario, cerca di portare l’utente-fruitore verso prodotti già fatti e finiti, di facile commerciabilità e con più ampi mezzi di promozione, a discapito della qualità stessa del prodotto. Si cercano alternative di svago che, il più delle volte, non riescono a raggiungere il livello di certe realtà, come i locali live di aggregazione, che sembravano un tempo ben saldi sul territorio, e che invece hanno iniziato un processo di lento sgretolamento dal quale, se non si opera in termini strutturali, rischia di continuare allargando sempre più la voragine negativa.

Tutti ormai affermano che l’attuale emergenza sanitaria è stata una delle cause delle varie chiusure dei locali, non solo quelli che offrono musica dal vivo, ma anche semplici attività di ristorazione o centri di interesse culturale (musei, cinema, teatri), ad esempio. In realtà, già tempo prima che scoppiasse la pandemia, certe realtà gravitanti soprattutto nel circuito musicale underground, per ragioni che vanno a confluire nell’aspetto della sostenibilità economico-finanziaria e anche per presunte questioni di ordine pubblico mai del tutto comprensibili, hanno dovuto chiudere i battenti, lasciando invece spazio ad altri settori lontani dal fare e proporre cultura. Tra tutti, preferirei menzionare il Lo-Fi, situato nelle vicinanze della stazione ferroviaria di Milano Rogoredo, nella parte sud-est del capoluogo lombardo, che è diventato nei sei anni di attività (dal 2010 al dicembre 2016) probabilmente il locale con la migliore offerta di rock-metal underground italiana ed internazionale passata per Milano, cavalcando vari sottogeneri e trovando spesso un’affluenza dignitosa. Quell’affluenza che si è poi cementata creando gruppi di 'aficionados' dediti completamente alla causa della musica dal vivo. In questo, come in altri (come l’Officina degli Angeli nei pressi di Padova, le Officine Sonore a Vercelli, la Rock’n’Roll Arena a Romagnano Sesia, e mettiamoci anche l’Init Club a Roma, anche se per motivi un po’ diversi), la chiusura mentale nei confronti dell’aggregazione socio-culturale ha purtroppo preso il sopravvento, con la conseguenza che coloro i quali, con grande sforzo, hanno gestito queste realtà hanno dovuto poi fare i conti con ciò che rimaneva in tasca, arrivando alla conclusione che la passione della gente non basta ma bisogna fare i conti con il Dio denaro.

L’emergenza sanitaria da Covid-19 sta dando ora il colpo di grazia, producendo effetti devastanti su tutte le realtà di questo giro. Nessuna esclusa. Scelte politiche molto dure e coraggiose stanno avendo come conseguenza un periodo di ripresa molto difficile, nella quale molte realtà sembrano sull’orlo di non farcela. E purtroppo alcune di queste non ce l’hanno fatta. Dapprima ha destato profonda tristezza la chiusura di un’attività che a Milano è divenuta negli anni un punto di riferimento, come Mariposa Dischi sotto Piazza Duomo a Milano. Punto di incontro di appassionati di metal e hard rock attenti alle novità discografiche, nonché tra i principali punti vendita per concerti, dove tante file si sono create per accaparrarsi l’ambito biglietto, la chiusura di Mariposa ha segnato un campanello d’allarme che presagiva tempi bui per le attività che propongono musica e cultura. Un altro locale che ha annunciato la chiusura è stato l’Arci Scuotivento a Monza, locale che da qualche anno ha riunito molte realtà underground di valore e di qualità grazie ad una rassegna denominata ‘Tutto il Nostro Sangue’ creata dalle menti dei Requiem for Paola P., unendo buona musica e sana accoglienza ed inclusione. Non ultimo, l’HT Factory a Seregno (ex Honky Tonky) ha chiuso i battenti nonostante fosse tra i locali che hanno saputo costruire un buon livello grazie ad ottime rese acustiche e impianti di qualità. Su quel palco hanno suonato i Jinjer agli inizi della loro carriera, i Sick Of It All, i Tides From Nebula, i Destrage e tanti altri.

Nonostante le solite diatribe tra le parti politiche che non portano assolutamente a nulla, nel frattempo la crisi sanitaria lasciava spazio a quella economica, che si sta rivelando di pari gravità (se non superiore) e con tempi di durata che si annunciano piuttosto lunghi. E in questi ultimi giorni, a Milano e nell’hinterland, ha assestato un colpo da KO. In tre giorni ci sono stati tre annunci che hanno informato della chiusura di tre diverse realtà live. La prima è stata la fine delle attività del Circolo Ohibò in via Benaco, una realtà che ha unito ottima offerta musicale ed uno spirito di aggregazione e di "presabbene" come forse poche volte si è potuto assistere. Molti artisti di estrazione indie, ma anche cantautorato, psichedelia, rivisitazioni retrò e sperimentazioni di avanguardia hanno trovato all’Ohibò il loro habitat ideale. L’affluenza di persone è sempre stata notevole e tutti con il sorriso sulle labbra. La seconda a decretare la sua fine è stato il Serraglio, in via Gualdo Priorato (zona Rubattino), che ha accolto musicisti ed artisti come Claudio Simonetti, Dragonforce, Dead Meadow, Peter Murphy, e tanti altri. Il giorno seguente è stata la volta del Blueshouse, al confine tra Milano e Sesto San Giovanni, locale che rispetto ai precedenti deteneva un aspetto relativamente più pettinato ed elegante, in cui comodamente seduti davanti ad una buona birra si poteva assistere a live come quelli di Antimatter, Daniel Cavanagh, Kari Rueslatten, Alteria, Neil Zaza, ecc.

E’ stato a quel punto che ho pensato di scrivere queste righe, turbato ed arrabbiato da questa escalation di chiusure che stanno facendo perdere la fiducia degli appassionati. Arrabbiato soprattutto perché si è assistiti, nonostante le parole piene di retorica circa il rispetto, il sostegno e la vicinanza nei confronti dell’industria musicale mainstream e underground e di tutto ciò che le ruota attorno, ad una mancanza di scelte e di decisioni politiche che servano a sostenere e risollevare un settore tra i più colpiti dall’attuale crisi, e dalla quale non sembra intravedere, nel breve periodo, una luce in fondo al tunnel, una via d’uscita che possa far ritornare il buon umore agli appassionati. Il trattamento di paesi come Germania, Belgio, Paesi Bassi e paesi nordici nei confronti della cultura e della musica dal vivo, in termini puramente economici e di sostegno, non è minimamente paragonabile a quanto proposto in Italia, la quale preferisce sostenere mediante bonus e incentivi altri settori che, seppur importanti, difficilmente potrebbero raggiungere i risultati sperati. A corredo di ciò, sono in essere raccolte fondi messe in atto da realtà importanti musicali come il Bloom a Mezzago e il Freakout a Bologna, che cercano con tutte le forze di rimanere in piedi e tornare a proporre eventi di qualità. A testimonianza del fatto che, in assenza di politiche efficaci a livello nazionale, c’è bisogno soprattutto del contributo di noi appassionati per fare in modo che queste realtà tornino a vivere e a farci divertire, creando quell’atmosfera che nemmeno cento, mille concerti in live streaming riescono a sviluppare. Infatti, per cercare di risolvere la situazione della musica live a seguito delle innumerevoli cancellazioni e spostamenti di eventi, si è provveduto ad usare degli espedienti come, ad esempio, concerti drive-in e concerti in live streaming. Sono soluzioni che dovranno per forza lasciare il tempo che trovano, non solo dal punto di vista di una mancanza del fattore emozionale di un concerto (volete mettere assistere ad un live seduti in macchina e "clacsonando" a più non posso? piuttosto che suonare davanti ad una telecamera non ricevendo minimamente l’affetto del pubblico che assiste dall’altra parte dello schermo, impossibilitato ad esprimere il proprio coinvolgimento?), ma soprattutto da quello della reale sussistenza e sopravvivenza dei locali, che senza pubblico e senza un ritorno economico, difficilmente potranno continuare.

E allora, se il supporto istituzionale manca, dobbiamo cercare noi stessi appassionati di musica a contribuire con il supporto e la presenza diretta  a restituire dignità al comparto della musica dal vivo e degli eventi culturali, ad agire direttamente dal basso con i mezzi a nostra disposizione per stare a fianco di queste realtà, da i musicisti che cercano, nonostante tutto, di produrre musica, fino ai semplici baristi, passando per gli organizzatori e promoter di eventi che si sono ritrovati costretti a rimodulare pesantemente tutti gli impegni presi, con buona pace degli investimenti sostenuti. Alcune realtà (come il Legend Club a Milano e il Rock'n'Roll Club di Rho) si stanno rimboccando le maniche organizzando momenti di aggregazione ed eventi, con tutte le dovute limitazioni. Credo che questo sia un punto di ripartenza e uno modo per non lasciare che il pubblico continui ad adagiarsi su soluzioni preconfenzionate già utilizzate prima e durante il lockdown, dalla presa immediata ma dalla qualità assente, e torni ad essere curioso del mondo e della realtà vera che lo circonda. Altrimenti, non lamentiamoci che i locali continuano a chiudere e la musica live vada lentamente a morire. Perché, se così fosse, oltre ad essere della politica assente, la colpa sarà anche nostra. Forse in misura maggiore.

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