YOUNG, PAUL: Chronicles
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28/02/2011Primo: non confondere questo Paul Young con il suo omonimo, celebre per le varie "Love Of the Common People" e "Wherever I Lay My Hat (That's My Home)". Secondo: rammentarsi che è stato una colonna portante dei Mike And The Mechanics. Terzo: un infarto l'ha portato via nel 2000. Fatte queste dovute premesse è necessario fare presente che ha avuto una carriera lunghissima e costellata da ottimi momenti e che, ovviamente, la sua voce calda, armoniosa e colma di colori era unica. Questo progetto nasce dal fatto che, ad anni di distanza dalla sua scomparsa, amici e collaboratori i quali hanno avuto l'onore di lavorare con lui negli anni, hanno potuto mettere mano sul suo archivio, completare, ri-registrare fedelmente quel che di inedito Paul ha lasciato. Quel che abbiamo quindi fra le mani è una sorta di testamento inedito di questo grande personaggio inglese, troviamo il pesante apporto di Mike Rutherford alla chitarra, le due chitarre dei 10cc Gouldman e Stewart, Martin Kronlund dei Salude e Gypsy Rose, la band di Paul precedente ai Mechanics, i Sade Cafe' al completo e tanti altri. Quanto contenuto nei tredici brani è un west coast molto ispirato e leggero, a tratti ispirato dai generi proposti dalle sue precedenti esperienze; momenti toccanti crescono in "House Of Many Nations", nel duetto con il tastierista dei Mike, Paul Carrak, in "Grace Of God", la poesia di "Here Come The Future". Ovvio, è un disco "leggero", va ascoltato in religioso silenzio, facendo propri i sentimenti qui profusi, certamente sensazioni positive e profonde. In assoluto prodotti come questo, così come per l'ultimo di Dan Reed (con le dovute differenze stilistiche), fanno rilasciare le tossine negative, hanno la peculiarità di non fare mai mancare l'attenzione dell'ascoltatore anche se non ci sono chitarre distorte e doppie casse, anzi, è proprio questo il valore dell'opera: brani soavi che rendono il cervello attivo al suo massimo. Addio Paul, grazie per lo straordinario testamento che ci hai lasciato.
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