VIRGIL & STEVE HOWE: Nexus
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05/01/2018Questa recensione sarà sui generis, un unicum se vogliamo. Lo sarà perchè questo album è tale e lo resterà fino alla fine dei tempi. Non vi saranno le mie solite frecciatine un po' ciniche, nè metafore colorite e variopinte. Questo disco va ascoltato in silenzio, e va conosciuta la storia che giace dietro le sue note. Quindi, passo a darvi i cenni minimi necessari: ricordate un certo gruppo chiamato YES, britannici, progressive rock, dal 1968 in attività, tra i vari cambi di formazione nei decenni a cavallo tra i '70 e gli '80? Bene. Se non li ricordate, male, male. Comunque, il chitarrista che subentrò nella formazione originale, Steve Howe, aveva un figlio, Virgil, e il verbo al passato non è un caso, purtroppo. All'età di soli 41 anni, il giorno 11 settembtre 2017, Virgil Howe scompare, e un padre sopravvive al figlio. Il vecchio Steve era in tour con gli YES quando il più giovane della sua genìa muore, gli YES cancellano il resto del tour. Il disco era già stato completato prima della dipartita di Virgil, così un padre decide di rendere immortale un figlio, il loro rapporto, il loro lavoro. Datevi le informazioni basilari che giacciono dietro questo disco, passiamo alla parte puramente musicale. Non è un disco facile da ascoltare, parti e armonie sono qualcosa di leggiadro e complesso, permeate di quello stile vagamente prog rock, con ampiue atmosfere date dall'uso sapiente di effettistica e più strumenti che eseguono parti complementari tra loro. Si percepisce la capacità polistrumentistica in composizione e arrangiamento, si sente che la mano che esegue tutti gli strumenti, eccezione fatta per il tocco sulle chitarre: una soltanto. Talento, molto. Classe, tantissima. L'uso bilanciato dei suoni, con uno solo predominante e gli altri a muoversi delicatamente intorno fanno da padrone in questa release. Le chitarre, poi, entrano quasi con incedere baldanzoso, a differenziare e dare quel quid in più che fa decollare ogni singola track. Ci hanno messo l'anima, il loro vissuto in ogni singola nota, e lo si sente, così come in tutta l'opera di registrazione, molto molto di qualità. Difetti ne ha, come ogni cosa di umana fattura, ma sono sciocchezze, cose da pelo nell'uovo, da psicopatici della perfezione. Passiamo quindi ai difetti, pochissimi, a dirla tutta. L'uso dei suoni, per quanto sia sapiente e molto ponderato, risulta "vecchio", un po' datato, molto di derivazione seventies e eighties, in particolar modo nella presenza di synth. L'album ha una sua linea melodica e logica, forse fin troppo granitica: per quanto riconoscibili nella loro essenza di instrumental songs , le tracce sono fin troppo simili tra loro, con gli stessi attacchi, le stesse strutture (intro con keyboards ed effettistica, poi innesto del drum set o unisoni di chitarra, a seguire il climax e inserimento degli altri strumenti), inamovibili nella loro composizione. Concludiamo? Concludiamo. 'Nexus' è un complesso di cose che non sono scindibili dalla sua storia. Musicalmente è un 88/100, umanamente è un piccolo capolavoro.
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