UFOMAMMUT: Fenice
data
16/06/2022Il power trio piemontese non poteva scegliere titolo più azzeccato per questo nono album che giunge a noi dopo oltre venti anni di onorata carriera. La Fenice infatti è il simbolo classico di rinascita dalle proprie ceneri, una opera di distruzione e creazione che incarna appieno lo spirito attuale degli Ufomammut che con questo "Fenice" scelgono di tracciare una linea di demarcazione con il passato al fine di intraprendere un nuovo percorso di rifondazione e rinascita sonora. Un primo segno di discontinuità con quanto fin ora egregiamente proposto è il parziale cambio di line-up che vede avvicendarsi dietro le pelli Levre al posto dello storico membro Vita a cui segue un approccio più intimistico nella fase compositiva nonché una maggiore semplicità e minimalismo delle composizioni. Risulta chiaro fin dalle prime battute come il trio abbia preferito compiere un percorso di ricerca di una nuova nuova linfa vitale, lontano dagli schemi fin ora proposti che rischiano a lungo andare per essere ripetitivi, facendo della sperimentazione il fulcro principale di questa ultima uscita discografica. Le montagne di decibel e le poderose distorsioni sature infarcite di feedback (benchè sempre presenti, sia chiaro) sono poste questa volta in secondo piano, cedendo il posto ai tappeti di synth che giocano un ruolo spesso da protagonista nelle composizioni, sviluppando quello che in '8' era stato solo accennato. Le linee vocali, minimali ma allo stesso tempo dal forte impatto espressivo, giungono all'orecchio distanti anni luce, eteree e cantilenanti come in un cerimoniale mistico accompagnato dai riff ripetitivi e mesmerizzanti delle chitarre. Risultano magistralmente strutturate le atmosfere, vero punto di forza di questo disco, in una perfetta e ben bilanciata alchimia mistico-cosmica dal sapore vagamente low-fi come in "Kheperer", così come convince l'amalgama compatta tra il tradizionale stoner sludge e le trame elettroniche nella opener "Duat". Domina per tutta la durata del platter un senso di oscura claustrofobia che non lesina momenti di impeto più crudi nei quali emerge l'anima più sludge del combo come nella conclusiva "Embryos". Ma questo ultimo lavoro più che puntare su soluzioni arzigogolate e di forte impatto sonoro pare voler solleticare più la parte sensoriale, imbastendo una serie di trame nelle quali tempo e spazio si dilatano approdando ad un concetto di musica che trascende il metal e in parte se ne discosta. Forse questo ultimo lavoro non metterà d'accordo tutti i fans di vecchia data degli Ufomammut, ma chi scrive ritiene che questo cambio di rotta, sebbene ancora in una fase embrionale, potrà trovare validi ed interessanti sviluppi nel futuro.
Commenti