THY ART IS MURDER: Human Target
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11/08/2019È chiaro che il quintetto australiano, devoto al deathcore, vuole espandere le proprie sonorità. Con questo quinto album alzano l'asticella di qualche tacca. Operazione riuscita? In parte sì. ‘Human Target’ è sicuramente un album più spinto rispetto ai suoi predecessori. In particolare i primi cinque brani fanno apprezzare un nuovo modo di concepire i riff, molto orientato verso il death classico e una composizione meno incentrata sui breakdown, o comunque il loro utilizzo è molto più funzionale all'interno dei brani. La title track ha lo scopo di introdurre l’album sia dal punto di vista stilistico/musicale, sia per i contenuti. Le oppressioni sono il tema di questo brano e di tutto l’album. La prima traccia è incentrata su un tema molto caldo; il traffico di organi in Cina. Si passa subito ad un brano di critica sociale nel vero senso della parola; “New Gods” ha lo scopo di farci aprire gli occhi sulla follia generata dai social media, sulla devozione che milioni di persone hanno per i loro “nuovi dei”. “Death Squad Anthem” supporta i giovani stufi ed a volte rassegnati al sistema sociale. Mentre in “Make America Hate Again” viene ribaltato lo slogan di Trump attaccando l’intero sistema politico, quindi passiamo a “Eternal Suffering”, brano un po’ diverso, ricco di blast-beat e riff dal sapore black metal, un momento più intimo all’interno dell’album, brano che segna la direzione verso cui i thy Art Is Murder vogliono andare. Il disco, fino a questo punto, dà il meglio di sé, ma da "Welcome Oblivion" e “Atonement” (brano che analizza brutalmente il tema della violenza sessuale), il ritorno a breakdown e sonorità più deathcore fanno un po’ rallentare l’ascolto. Le tematiche sono sempre ben costruite e di forte impatto; si parla di anti-religione, misantropia e la rappresentazione dell’uomo come “cancro” per il nostro pianeta; vedi "Welcome Oblivion" e “Eye For An Eye” con qualche piccola incursione nel grind. In ogni caso le performance dei membri sono sempre brillanti in particolare il cantato brutale di CJ McMahon e il bel lavoro di intrecci fra le chitarre. La scelta stilistica di rendere i brani più spinti ma accattivanti è stata sicuramente vincente, se questa modalità avesse permeato l’intero l’album, forse, i Thy Art Is Murder avrebbero raggiunto una vetta inarrivabile per molte altre band, soprattutto in campo estremo. Il loro legame nei confronti del deathcore in alcuni brani è ancora forte, non che sia un male, intendiamoci, ma i clichè legati a questo stile non permettono di evolvere il proprio suono verso nuove direzioni; forse è proprio così che i nostri intendono la musica, un mezzo di critica sociale e strumento per massacrare le coscienze. La prova è il bellissimo lavoro in copertina di Elinar Kantor che, dopo aver letto i testi e ascoltato il disco, ne ha esemplificato chiaramente lo spirito e i contenuti.
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