SILENT FORCE: Rising From Ashes
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22/12/2013Avevamo perso un po' le tracce della band capitanata dall'axe-hero Alex Beyrodt dovuta ad una comprensibile serie di motivazioni, una delle più significative riguardava la defezione del singer D.C Cooper, richiamato dalla band che lo consacrò al grande pubblico, ossia i Royal Hunt di quel genio di Andre Andersen, ma soprattutto per le varie collaborazioni dello stesso Beyrodt sempre immerso tra attività live e sessioni negli studi di registrazione. Oggi, con una formazione quasi del tutto rinnovata, il chitarrista teutonico torna a darci dentro sfoderando forse la miglior performance della sua già ricca carriera, coadiuvato al meglio da elementi della scena Hard & Heavy che non hanno certo bisogno di presentazioni come l'amico Matt Sinner in veste di bassista (e compagno nei Primal Fear), il tastierista Alessandro Del Vecchio e al microfono Michael Bormann, ex leader dei Jaded Heart. Il precedente album 'Worlds Apart', datato 2007, molto ben prodotto e suonato magnificamente, ci mostrava una band in piena salute, forse ancora un po' ancorata agli stilemi del metal neo-classico infarcito di virtuosismi per cui, al fine di togliersi definitivamente l'etichetta di emulo di Malmsteen, decide di togliere alcuni orpelli senza comunque snaturare il suo stile dando alla luce un prodotto sicuramente più snello preservando le caratteristiche di forza e incisività, pur avendo un taglio magari meno power (predominante comunque nella "sgommata" iniziale "Caught In The Witching Game", ipotetico incrocio tra Primal Fear e Axel Rudi Pell) e una più spiccata componente melodica senza mai risultare edulcorato, tant'è che nel cd non sono presenti ballads. Parte non indifferente di questa evoluzione è da ascriversi alla verve incredibile di Bormann, che ha giganteggiato non solo come esecutore ma anche in termini compositivi, che conferisce il proprio trade-mark nella stesura delle linee melodiche, un cantante ancora troppo sottovalutato dotato di un'inconfondibile timbrica roca e passionale più che mai fortificato dall'esperienza con i Jaded Heart, autori di quel gioiellino 'IV' a cui questo disco si rifà almeno in parte a livello di sonorità stando in ogni caso alla larga da tentativi di scopiazzamento. Impossibile rilevare un filler nell'arco di questi dieci strepitosi brani, quasi tutti dotati dell'istinto killer, in particolare le immense "Turn Me Lose" e "Anytime Anywhere" con bellissime decorazioni di tastiere in corrispondenza del refrain, per non parlare poi di "Before You Run", una cavalcata tesissima, quasi epica nel riff portante aggraziata dall'incedere dell'emozionante hammond di un sempre più bravo Del Vecchio. A conclusione dell'ascolto possiamo sentirci oltre che appagati anche orgogliosi del fatto che troviamo un buon 20% d'Italia nella realizzazione di questa quinta uscita, che definirla capolavoro non è certo una bestemmia.
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