SERPENTYNE: The Serpent's Kiss
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23/01/2017Le vicissitudini della nostra storia e la testimonianza di personaggi valorosi sono i temi più importanti che i britannici Serpentyne affrontano nel loro terzo album dal titolo ‘The Serpent’s Kiss’. Come nei due precedenti capitoli, la band britannica propone un rock sinfonico dal sapore sin troppo melenso, una sorta di Edenbridge ancora più tranquilli. Alcune soluzioni sono più convincenti di altre, come ad esempio il ritornello propositivo di “Jeanne d’Arc”, epico e sinfonico al punto giusto e con un uso ben equilibrato e presente della ghironda da parte di Mark Powell; piuttosto che alcuni frangenti strumentali che ricordano presenze medievali e selvagge nei primi due terzi dell’album, per poi incontrare territori più moderni nell’ultima parte pur rimanendo nel rispetto della tradizione, in particolare con “Morrighan’s Jig”, dal sapore prettamente irlandese. Ogni brano è caratterizzato da diverse storie rappresentanti differenti contesti territoriali e vicende che sono state tramandate anche nei libri di storia, come il personaggi di Giovanna d’Arco e di Elena di Troia, piuttosto che le storie racchiuse nella saga del Trono di Spade e i racconti che spaziano dalle terre celtiche a quelle del profondo Nord, passando anche per il “Salterello” italiano, che è anche il titolo di uno tra i brani strumentali più convincenti dell’album, assieme alla conclusiva e suggestiva “Game Of Thrones”. Il risultato complessivo non raggiunge però vette poderose in grado di far scuotere l’ascoltatore più vicino a sonorità rock e metal e fan di numerose band di stampo power e symphonic che sarebbe troppo esaustivo citare, e che rimane alla fine ricoperto in una penombra dalla quale sarebbe uscito volentieri. Tra le cose meno convincenti si segnalano “Helen Of Troy”, in cui la cantante Maggiebeth Sand, soprattutto durante le strofe, sembra che canti un pezzo melodico lento, tipico delle orchestre da ballo italiane, come se si rivolgesse ad una platea di 60-70enni. Ed in generale, le parti cantate femminili nel loro complesso, nonostante la Sand dimostri comunque delle qualità vocali rispettabili, fanno non poca fatica a catturare l’attenzione, risultando sin troppo parsimoniosa e liricamente soffice, rallentando considerevolmente il tiro musicale complessivo creato dai compagni di band. È un album che può essere maggiormente digerito da chi possiede orecchie più propense ad ascolti sostanzialmente tranquilli e senza particolari pretese o bisogno di articolazioni musicali più o meno varie e possenti, ma che sicuramente non rappresenta un tassello imprescindibile della storia della musica sia generale, che nel settore del rock sinfonico.
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