NICKELBACK: SILVER SIDE UP
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17/04/2005Questo "Silver Side Up" è il terzo disco dei Nickelback (tralasciando il cd demo "Hesher") ed ancora oggi quello di maggior successo; in precedenza la band canadese aveva già rilasciato l'appena sufficiente "Curb" e il ben più valido "The State", ma è proprio col loro terzo tentativo a tre anni di distanza dal precedente che i Nickelback fanno il cosiddetto "botto". In particolare il singolo "How You Remind Me" diventa un vero e proprio hit mondiale trascinando l'intero album, che venderà sei milioni di copie nei soli States!
Devo ammettere di essere stato anch'io tra i "folgorati" da "How You Remind Me" e di essermi avvicinato alla band proprio grazie a questo bellissimo brano e questo è anche il motivo per cui parto da "Silver Side Up" per occuparmi dei Nickelback, essendo molto legato a tale cd.
Si è spesso parlato per la musica dei Nickelback di post grunge, una classificazione a mio giudizio abbastanza fuorviante, perchè se è vero che le canzoni dei Nickelback vivono di malinconia e tristezza è altrettanto vero che le fonti del sound dei canadesi sono il blues, il country ed il rock americano più classico; insomma nulla a che vedere con l'armamentario a base di Black Sabbath, Led Zeppelin, punk e psichedelia, che è alla base del sound della maggior parte delle band di Seattle. Certo il fatto che il disco sia prodotto da Rick Parashar (producer di "Ten" dei Pearl Jam) può trarre in inganno, ma non appena si mette il cd sul lettore ci si rende conto che i Nickelback col grunge hanno poco a che fare.
Pur trattato con sufficienza da una critica musicale orba e snobbato da rockettari integralisti, "Silver Side Up" è un disco che non vive solo di "How You Remind Me" o del grandioso successivo singolo "Too Bad" (un pezzo che molte bands più acclamate da certa critica non sono ancora riuscite a scrivere) ma regala gioiellini come le irruente "Never Again" e Where Do I Hide", accanto a momenti di riflessione come "Woke Up This Morning" e "Good Times Gone", ma anche "Hangnail" è un brano destinato a consumare il solco ottico col suo incedere deciso e ricercato.
Vero e proprio collante di tutti i brani è la calda e grintosa voce di Chad Kroeger, una sorta di James Hetfield in versione hard rock, che riesce a muoversi a suo agio in ogni fragente del disco, non risultando mai fuori luogo o sopra le righe. Chad è poi autore di tutte le liriche, incentrate in buona parte sulle relazioni personali e su esperienze autobiografiche, estremamente semplici, ma sempre incisive A ciò si aggiunge un esecuzione strumentale impeccabile ed una cura degli arrangiamenti-produzione che rasenta la perfezione (ma Rick Parashar è un maestro in questo campo).
Molto altro da dire non c'è; o meglio bisogna solo metter da parte ogni pregiudizio e ascoltare un disco che una volta tanto ha avuto un successo meritato e non dettato solo da logiche di marketing; qui c'è una band che suona alla grande, ci sono emozioni e soprattutto ottime canzoni, penso che di più non si possa chiedere.
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