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KAMELOT: THE BLACK HALO

data

19/03/2005
85


Genere: Melodic Power Metal
Etichetta: SPV
Anno: 2005

Giunge alla conclusione il concept dei Kamelot ispirato al Faust di Goethe. L’opera, suddivisa in due capitoli, prese vita nel 2003 con “Epica”, e quell’album segnò una netta svolta per il corso della band che guadagnò popolarità a livello non solo europeo ma mondiale. Le aspettative per questo secondo capitolo, intitolato “The Black Halo”, sono quindi grandi e ci si aspetta un ulteriore conferma del lavoro fatto dai quattro (quasi) americani in virtù di quanto buono già dimostrato con “Karma” e, appunto, con “Epica”. Come mi è già successo con l’ultimo lavoro degli Angra, “Temple Of Shadows”, mi sono trovato di fronte ad un lavoro difficile da digerire. Un album che al primo impatto mi ha spiazzato, lasciandomi contento solo a metà. Ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte a pezzi incompleti, a brani che da prima mi entusiasmavano ma che successivamente non arrivavano mai al dunque, lasciandomi addosso una sensazione di mancato appagamento, di insoddisfazione. Tutto questo al primo ascolto, e come mi era accaduto con il nuovo album dei brasiliani Angra successivamente la mia opinione è stata completamente rivoluzionata. Se prima trovavo il mid-tempo d’apertura di “March Of Mephisto” (nel quale appaiono due ospiti d’eccezione come Shagrath dei Dimmu Borgir e l’onnipresente Jens Johansson degli Stratovarius) spiazzante, inadatto e fuori luogo successivamente ne ho saputo apprezzare il songwriting, basato su una sezione ritmica rocciosa e sul trascinante riffing di Thomas Youngblood. Riascoltando l’album sono riuscito ad apprezzarne la sua stabilità e l’incredibile validità dei pezzi proposti dell’intero lotto. La band ha saputo costruire un concept valido non solo per le tematiche che propone ma per la sua composizione ed il modo vario e ricercato nel quale i pezzi vengono proposti. Anche una suite come “Memento Mori” riesce a stupire, risultando persino uno dei brani migliori nel quale il singer tedesco Kahn riesce ad esprimere tutte le sue qualità vocali: dalle più armoniose e velate alle più alte ed impegnative. Ma, come già detto, i brani degni di nota si sprecano. Le tipiche scorrazzate power di “When The Lights Are Down”, “Serenade” e la speed-metal “Nothing Ever Dies” faranno la felicità dei più accaniti fan dei tormentoni da concerto, i più romantici appassionati della melodiosa voce di Kahn potranno struggersi con la bellissima ballad “Abandoned”, unico lento presente in questo capitolo ma di grande fattura. Ma non è finita qua, il singolo “The Haunting (Somehwere In Time)” , nel quale compare anche la cantante degli Epica Simone Simmons, potrà tranquillamente ritagliarsi la popolarità di uno dei pezzi migliori mai scritti dalla band (Anche se la short-version usata per il video ne propone una versione decisamente mutilata) e brani come “Soul Society” e “Moonlight” non saranno da meno, dato che già rientrano tra le mie canzoni preferite. La title-track, “The Black Halo”, stupisce per una sezione ritmica consolidata nella quale la coppia Barry-Grillo si dimostra più che mai consolidata. Appena fuori dal coro rimane “This Pain”, altro mid-tempo dominato da un refrain anni ’80 che si estranea un po’ dal corso preso dall’album, senza però sfigurare. Cosa altro si può dire su questo album, di parole ne ho spese tante ma credo che nessuna di queste possa valere tanto quanto un ascolto, fortemente consigliato a chi non conosce questa band e a chi già la conosce, ai fans del genere e non, a uomini, donne, vecchi e bambini. Youngblood e soci hanno messo in piedi quello che con tutta probabilità sarà ricordato come il loro miglior lavoro di sempre, un album che finalmente suona fresco, che finalmente appassiona come sempre più difficilmente accade in questo settore sovraffollato di band. Dopo dieci anni di attività i Kamelot diventano, finalmente, uno dei gruppi leader di questa categoria. A buon intenditor….

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