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IRON MAIDEN: DANCE OF DEATH

data

09/09/2003
75


Genere: NWOBHM
Etichetta: Emi
Anno: 2003

Tredicesimo album in studio per la storica band britannica degli Iron Maiden che, capitanta dal "solito" Harris, sforna uno degli album più attesi dell'anno. La track list è di 11 pezzi per la composizione dei quali è stato attivo l'intero gruppo: per la prima volta figura anche un pezzo composto da Nicko McBrain . L'album si apre sulle note di Wildest Drems, veloce cavalcata dalle sonorità alla "Brave New World" utilizzata anche come singolo promozionale, nonchè inedito presentato al pubblico del "Give Me Ed... ... Till I'm Dead!" tour. Si prosegue sui toni semionirici di "Rainmaker" in cui Dickinson mostra quanto ha imparato nella sua carriera solista nel vocal-writing tra la provocazione e l'evocazione, il passo resta comunque veloce nonostante un'impostazione + melodica; da segnalarsi lo stile puramente smithiano della guitar-line. Il terzo brano, "No More Lies", recupera uno stile compositivo che si rifà al periodo semigotico contraddistinto dal vocalist Blaze Bailey: la ripresa ,voluta o meno che sia, è alla struttura di "The Clansman", vero e proprio simbolo di "Virtual XI". Un live chorus assicurato. La quarta traccia, "Montsègur", ci riporta alle lyrics di "The Chemical Wedding", uno dei più famosi album solisti di Bruce, con una struttura e un testo in stile "Trumpets Of Jericho", con richiami biblici alternati a cripticismo onirico. Con la quinta traccia entriamo nel vivo dell'album: si tratta della title track, un pezzo riecheggiante atmosfere alla "Fear Of The Dark" alternate a riflessioni alla "Real Life"; il pezzo si apre su un giro lento che imposta il riff per poi lanciarsi in una corsa dettata dalle chitarre di Murray e Smith coadiuvate da una ritmica serrata come solo McBrain, "il piede più veloce del metal", può fare. Si aggiunga che il testo è paragonabile per profondità e capacità evocativa, alla leggendaria "Hallowed Be Thy Name", e che Harris e soci mostrano finalmente in maniera aperta quel sostrato celtico che avevano finora nascosto solo nei sottofondi. E' poi il turno di "Gates Of Tomorrow", pezzo veloce dal testo melanconicamente criptico, musicalmente in linea con il periodo apertosi con "Brave New World". "New Frontier" è la traccia che vede l'ingresso in composizione di Nicko. La canzone risulta dinamica,veloce e più elaborata di quanto non possa apparire ad un primo ascolto. L'idea di fondo è quella del mostro di Frankenstein, rielaborata alla luce di una lettura più pura e miltoniana. Su "Paschendale" viene riutilizzato il sempiterno tema della guerra dall'ottica del soldato. A metà tra un solido hard rock e dei passaggi da ballad, questo pezzo presenta forse alcuni dei più complessi passaggi dell'album, sfruttando appieno le potenzialità della line up a tre chitarre e richiamando un'imponenza alla "Mother Russia". La nona traccia, "Face In The Sand," è un feroce attacco al decadimento degli ideali sociali, giostrato su una musicalità atta ad esprimere più delusione che rabbia. "Age Of Innocence", pezzo di Murray e Harris, ci riporta a schemi melodici in stile "Childhood's End", con una riflessione appunto da fine dell'infanzia. Lo schema melodico valorizza il gusto classico di Dave Murray, dando importanza a chitarre hard e ad un'impostazione vocale che sembra richiamare il sistema delle ballad anni '80. Infine "Journeyman" sfocia nel sinfonico,con chitarre acustiche ed archi in sottofondo, su una riflessione romantica di fine album come ci hanno abituato Brave New World e Virtual XI. Nel complesso, si può capire la dichiarazione di Dickinson secondo cui quest'album doveva rappresentare un ritorno alle sonorità di "Killers" e "Piece Of Mind" : la struttura delle chitarre, le ritmiche stoppate, il basso incalzante ricordano quegli album storici, pur rimanendo coerenti con l linea costantemente evolutiva della "Vergine di ferro". Harris è impeccabile come al solito, vero e proprio scheletro dell'album; il suo stile ormai famoso rappresenta la vera anima che fa da filo conduttore lungo tutta la discografia del gruppo. Murray e Smith si confermano le due matrici del guitar sound, giostrandosi perfettamente nell'alternanza dei reciproci stili, mentre Gers continua a fare da controcanto ai due con il suo stile così ispirato al rock. Nicko non si lancia in cavalcate ritmiche di grande effetto, non utilizzando più i sistemi di rullate e controrullate per scandire il suo stile, ma puntando più del solito su velocità e precisione tecnica. Addirittura in un paio di canzoni sembrerebbe mantenere un tempo senza variazioni dall'inizio alla fine, ma lo fa con una maestria tale da rendere completa la canzone pur nella semplicità di un struttura ritmica costante, e mascherando evoluzioni tecniche comunque non da tutti. Bruce infine dimostra di essere ulteriormente cresciuto come vocalist, diventando ancor più evocativo nel fondere passaggi puramente melodici e di atmosfera ad altri di trascinante esplosività. Come al solito non mancherà chi dirà di quest'album che "non è The Number Of The Beast". A costoro un consiglio spassionato: degnate "Dance Of Death" di un ascolto più approfondito, e provate ad ascoltare l'intera discografia in sequenza, valutando la linea evolutiva del gruppo,la conseguente crescita, e quello che Janick Gers ha definito "il costante stile Iron in sottofondo".

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