GODFLESH: Post Self
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24/01/2018Siete mai stati in un'industria siderurgica? Avete mai avuto modo di ascoltare quei clangori sinistri dello stridio di lamiere, il rumore dei compressori pneumatici o delle presse giganti, le colate degli altiforni, le seghe circolari che tagliano metalli? No? Non c’è bisogno di recarvi in loco, basta ascoltare il nuovo lavoro dei Godflesh per averne una calzante idea. La zona industriale di Birmingham deve aver irrimediabilmente deviato la mente del giovane justin broadrick in maniera tale che quel trademark rumoristico, a distanza di 30 anni dal suo incipit nel mondo del metal, non riesce più a toglierselo da dosso. Ne consegue che le visioni deviate di quegli scenari sono tornate a manifestarsi con una certa regolarità, utilizzando, per il nuovo disco, parti di risulta degli altri suoi progetti: Jesu, Final e Head Of David. Possiamo considerare 'Post Self' un lavoro a tre mani, come se le tre proiezioni di Justin si materializzassero nello stesso incubo dove stavolta non sono solo l'industrial metal, l'elettronica ed il dub a condividere il proscenio ma hanno una parte rilevante la psichedelia, il drone ‘Mirror Of Finite Light’ ed il dark. L’ultimo arrivato potrebbe risultare più indigesto di quanto fatto in precedenza specie per chi non ha familiarità con le sfaccettature dell’Io (pre self – post self) del songwriter inglese. Rivive in questi solchi l'asfissiante monotematicità di 'Selfless' in "Pre Self", le bordate tecnologicamente avanzate di “Be God” (colonna sonora ideale per qualsiasi film di fantascienza tipo Trasformers) e "Mortality Sorrow", le derive dark nei riff dissonanti di matrice Killing Joke in "In Your Shadow" e “Post Self” facendo perire la componente umana di fronte alla potenza delle macchine. Diversamente monolitico.
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