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DEATH THE LEVELLER: II

data

24/03/2020
75


Genere: Doom Metal
Etichetta: Cruz Del Sur Music
Distro:
Anno: 2020

Debut album per gli irlandesi Death The Leveller, band che sorge dalle ceneri dei Mael Mórdha che dopo la pausa annunciata nel lontano 2015 ad oggi non hanno più fatto parlare di loro. A differenza di quest'ultima, la nuova creatura benchè riprenda quasi la medesima line-up ad eccezione dell'ingresso di Denis Dowling al microfono, pare discostarsi in termini di sound da quanto fatto negli anni passati. Si preferisce un approccio più riflessivo e che lascia predominare le  sonorità doom più oscure a discapito di quelle più smaccatamente epiche. "The Hunt Eternal" è il chiaro paradigma di quanto affermato; un brano dai tempi slabbrati con un riffing granitico e deciso che però sfocia in un mare di dolce malinconia che rende lo stile dei Death The Leveller allo stesso tempo anche intimistico e introspettivo. Predominano quei sentimenti di abbandono, di caducità e di disperazione romantica, influsso delle tradizioni poetiche e drammatiche della vecchia Inghilterra di cui la band si fa fiera portavoce come riflette anche il moniker in omaggio a James Shirley. Il sound appare depurato dagli elementi più strettamente folcloristici della tradizione celtica ma tende a ricercare per lo più la riflessione senza consolazione che si alterna alla reazione rabbiosa e quasi disperata dell'uomo come nella lunga "The Golden Bough" nella quale assistiamo alla lotta tra le due pulsioni umane, con un Denis Dowling capace di mutar pelle e offrire una prestazione recitativa di alto livello. Sicuramente questo dualismo, questo meccanismo di azione e reazione dove l'Uomo avverte il peso della sua condizione esistenziale e tenta una inerme reazione, è uno degli elementi riscontrabili più spesso nelle trame sonore di questo platter che gioca molto sull'alternanza emozionale, così come in "So They May Face The Rising Sun" che trasmette con la ripetizione ossessiva dei giri armonici tutto il sentimento oppressivo e claustrofobico. Con la conclusiva "The Crossing" però la band arriva al cuore più oscuro del proprio sound. Il brano accentua i toni più cupi arrivando a toccare influenze che definiremo quasi "funeral". Già dalle prime note si coglie una pesantezza più marcata che dilata a dismisura i riff monotoni della chitarra di Gerry Clince che sembrano rimanere fluttuanti nell'aria ammorbante. Il brano è una cappa oscura che toglie il respiro ed ha in sè qualcosa di profondamente evocativo e catartico. Possiamo definire in buona sostanza questo primo LP come un viaggio introspettivo che pone al centro della sua speculazione l'Uomo e il significato stesso della vita umana al cospetto della morte e i nostri riescono ad assolvere a questo arduo compito con maestria, riuscendo ad inanellare una serie di brani ottimamente arrangiati che mostrano tutta la maturità acquisita nel corso degli anni e di cui hanno fatto ampio tesoro.

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