DEA: Non portar: Non mi far torto...
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27/02/2020Dalle terre nebbiose lombarde ecco alzarsi una voce, ancora una volta, di metal pagano. Secondo full-length, quarta uscita infatti per Dea, polistrumentista di Mortara che ci regala un nuovo lavoro in studio, un disco che indubbiamente ci stupisce per sensibilità e gusto per le atmosfere. Il sound proposto è un black metal dalle tinte folk, accostabile alla scuola norvegese ma rigorosamente cantato in italiano ed in grado di mostrare di sé personalità. Non c’è appunto quel forzato retrogusto di pagan che tante volte macchia le buone intenzioni di molti artisti, innamorati di mitologie e culture però geograficamente distanti dalla terra natale. Dea alterna momenti melodici, sussurri che si muovono tra fronde che si affacciano ad una notte tra luci ed ombre. Nubi giocano con la luna, gelido biancore che contorna nembi dai tratti mutevoli, emozioni che esplodono da dentro, stringendoci al petto. Baleni acustici arricchiscono un disco che evidenzia momenti chitarristici di spessore, coralità vocali prendono l’ascoltatore per mano portandolo in una dimensione di epico crescendo, una vera e propria ascesa tra folklorici richiami. Il disco poi mostra di sé divagazioni di old school thrash metal, un primordiale black che ci sbatte addosso metalliche catene, peccati che stridono al suolo e che si stringono ad arti che si conficcano nel vuoto. Al di là di tutto ciò poi si percepisce serenità, condizioni che si alternano e che tra sfumature muliebri ci cullano in un oblio in cui è gradevole naufragare. I limiti della proposta stanno nell’uso di una batteria programmata, la cui innaturalità stona con lo spirito di un album che fa dell’empatia e dell’ambiente la propria punta di diamante. Complimenti ad un artista che non segue le mode, che evidentemente fa musica basandosi su ciò che il cuore bisbiglia, ascoltandolo con attenzione ed emozionando di conseguenza chi ne coglierà l’essenza.
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