KAMPFAR: Ofidians Manifest
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30/01/2020Stillare epica violenza, incamerarla in un sound mai banale e farlo già da più di venticinque anni non è scontato, tanto che pochi possono fregarsi di tale preambolo. Il caso concreto è quello dei norvegesi Kampfar, progetto che non perde sostanzialmente mai un colpo, inasprendo e arricchendo un sound epico ma mai per un secondo banale. Ofidians Manifest continua sulla linea del più classico dei sound norvegesi, una via che non si è mai coerentemente abbandonata ma che non ha di fatto soffocato in inventiva e ardore gli artisti. I Kampfar si muovono in un paesaggio in cui fiamme ardono incessanti, in cui natura si rinnova e rigogliosa poi rinasce. Cavalchiamo senza sosta battendoci, caricandoci al suono di corni da battaglia, volgendo lo sguardo ad una terra che amiamo e proteggiamo, eroicamente. La sete di mitologia e di crescendo folk non viene meno, anche se la violenza black e le strutture sempre più corpose sono il sentore di una evoluzione continua della band. Sotto una fitta nevicata, con sguardo basso, ci incamminiamo arcigni, ruvidezza che ci protegge e al contempo nasconde una contemplazione profonda di ciò che ci circonda. Gli intarsi vocali e gli orpelli di chitarra ci portano in una dimensione magica. Gli stacchi melodici sono luce lontana che idealmente ci guida, impervia salita che sgorga in una speranza concreta. L’alternarsi di violenza e meditazione è punto di incontro tra realtà ed oniriche vibrazioni dell’anima, pellegrino che si rannicchia come foglia secca, cullato poi da un gelido vento che ne scopre la ragion d’esistere. Le ritmiche cadenzate e l’amaro sapore del dolore più radicato ci raccontano di un percorso tortuoso che dona significato all’esistenza. Improvvisa pace di arpeggi di chitarra si sposa con un inaspettato pianoforte, un albeggiare di note che tutto avvolge, stringendo con amore. Album dalla profondità emotiva incontestabile, old school norvegese di matrice pagana che si incastona perfettamente in un concetto intrinseco. Nessuna distruzione fine a sè stessa, tensione palpabile in ogni singola traccia di un disco che ci rende liberi dalla quotidiana angoscia. Se amate Enslaved prima maniera, Taake, Helheim e Windir qui troverete pane per i vostri denti. La personalità dei Kampfar è comunque spiccata, nonostante le citazioni appena espresse, necessarie soltanto per inquadrate un’attitudine ed atmosfere che restano marchio di fabbrica distinguibile per Dolk e soci. Il progetto non ha avuto negli anni l’attenzione che avrebbe meritato, restando in un sottobosco che idealmente ha giovato però dal punto di vista della sincerità espressiva. Questa considerazione siamo però convinti non importi ai Kampfar, band che stimiamo e a cui facciamo il nostro plauso.
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