CRYSTAL EYES: DEAD CITY DREAMING
data
17/12/2006“Timeless terors rise, insanity waits for all umanity…” Personalmente, da estimatore delle opere di H.P. Lovecraft, non posso che gradire un’apertura, nonché title track, che riporti in auge gli Antichi in attesa di risvegliarsi. Chtulhu sogna… Al tempo stesso mi sovviene come fosse la musica dei danesi Crystal Eyes ai tempi di “World Of Black And Silver”: il processo che ha portato la band ad abbandonare le sonorità fin troppo grezze degli esordi in favore di una produzione degna di questo nome, si è purtroppo accompagnato ad una costante accentuazione dei tratti melodici della loro musica, a discapito di quelle belle “bastonate” di Heavy vecchia scuola che sferzavano dai loro primi album. La domanda è quindi: meglio del sano Heavy Metal registrato “in cantina”, o un disco ben più godibile a livello di qualità sonora, ma ormai avviato con decisione verso l’Heavy Melodico? Nulla contro l’Heavy Melodico, sia chiaro: semplicemente una band che ha iniziato in maniera più “pesante” e si rende sempre più “leggera” mi lascia un po’ perplesso. E sono ancor più perplesso quando leggo nelle informazioni fornite dalla label che Dahl ha recuperato e riarrangiato alcuni pezzi scritti negli ultimi tredici anni, oltre a scrivere qualche pezzo completamente nuovo, per il nuovo disco: mi viene allora da chiedermi se non avesse optato per la pubblicazione dei pezzi più pesanti prima, utilizzando ora i più melodici per mettere alla prova le potenzialità del nuovo vocalist Adamsen. La risposta a questa domanda non cambia ovviamente la qualità del disco, ma le curiosità di questo genere aiutano nella stesura del proprio “storico” personale del Metal, il che significa che a chi fosse interessato ad approfondire l’argomento lascio il compito a casa di studiarsi bene i precedenti dei Crystal Eyes, comparandoli con i gruppi che palesemente li hanno più influenzati: Black Sabbath, Iron Maiden, Judas Priest, Accept (per tutti e quattro vale come periodo di produzione quello degli anni ’80). L’aspetto interessante dei cinque Danesi è comunque il fatto che, pur essendo evidente l’influenza dei suddetti mostri sacri, non si pongono come una loro riproduzione a buon mercato, ma ne integrano le peculiarità all’interno di una propria scelta stilistica intrigante e potente; il limite è dato dalla difficoltà del compito, che rende leggermente pesante il disco dopo la metà, quando, passato il giro di boa di “Battlefield”, si comincia ad avvertire una lieve carenza in fatto di mordente. Il che significa che “Dawn Dancer” non è un pezzo inutile, ma smorza non di poco l’atmosfera creatasi fino a “The Quest Remains”. L’effetto permane purtroppo sulle tracce che seguono, col risultato che “Dead City Dreaming” perde di interesse nelle battute finali: pur senza arrivare ad essere noioso (anche grazie al leggero recupero cui si assiste su “Temple Of Immortal Shame”), non riesce ad arrivare alla propria conclusione con la naturalezza che ci si attenderebbe dalle prime tracce. “The Halls Of Valalla” chiude bene il disco, ma non all’altezza dell’opener o di “Into The Light”: risultato, un ascolto valido, per certi versi anche raccomandato, ma con l’avvertimento di non aspettarsi che l’inizio sia perfettamente rappresentativo dell’intero lavoro.
Commenti