BANG TANGO: FROM THE HIP
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08/11/2006Dieci canzoni dirette, immediate, ruvide, senza nessuna pretesa se non quella di rockare come un tempo circondati da belle pupe, bottiglie di birra, e la strafottenza e l'irriverenza tipica di chi se ne sbatte dei giudizi, dei pregiudizi, delle fisime e di tutte quelle cagose prese di posizione e/o tendenze che pretendono di essere una classe sociale manco fosse un mestiere. Questo è il nuovo CD dei Bang Tango, band non molto fortunata nonostante i giudizi positivi della critica del tempo, che si affacciò sulle scene sul finire degli '80. Un lavoro certo fatto di stereotipi, ma in un tempo in cui qualsiasi monnezza viene spacciata come musica del secolo per quattro cambi di tempo messi in croce, dischi come "From The Hip" diventano un toccasana riportandoci in quelle bettole dove tutto nacque, e dove quel "tutto" non ha ancora nessuna voglia di schiattare come ci testimonia questo zozzo materiale sulla stessa scia di band quali Faster Pussycat e L.A. Guns. Stilisticamente siamo un po' distanti da quello che una volta erano i Bang Tango, nel senso che dischi come "Psycho Cafè" e "Dancin On Coals" erano più incentrati su sonorità hard-funky che non come quelle attuali, anche se la sostanza e l'attitudine non sono affatto cambiate. Quello che davvero conta, in fondo. Joe LeSte, vocalist ed unico membro originario il quale ha sbarcato il lunario con i Beautiful Creatures nei tempi morti che hanno colpito la band madre, dirige la sua personale orchestra con graffi vocali, unghie che ravanano le corde in gola inaspettatamente rispetto ai suoi standard passati più puliti ed "alti", collezionando una serie di prestazioni esaltanti che impongono adrenalina ai brani, "kickando assi" a ripetezione grazie anche ad una sezione ritmica solidissima, ed a un riffing corposo, pieno, che forgiano un sound moderno e classico allo stesso tempo. Un paio di brani risultano al di sotto dello standard raggiunto in media da "From The Hip", tuttavia sono ben nascoste dalla qualità delle altre una volta tirare le somme. L'opener "It's All Ok" e "Go, Go, Go" portano in dono la quintessenza dello street-rock, mentre il trittico "Get Used to It!", "I'm the One" e "Simple" rappresentano l'apice di un disco che passerà sicuramente inosservato, o che verrà di certo bellamente snobbato, ma che farà divertire e non poco quei fortunati, meglio chiamarli coraggiosi, che ancora hanno voglia di tenere un occhio puntato su una zinna, e l'altro sul palco, una mano stretta ad una birra, e l'altra che fa baldoria agitandosi nel vuoto(o dove casso vi pare), la mente svuotata completamente, non curanti dei semitoni, delle scale diminuite, dei 64esimi del batterista, di Odino, di San Giuseppe e della Vergine Maria. Questo è rock'n'roll, stronzi.
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