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VLAD IN TEARS

Dopo il concerto del 3 febbraio scorso all'Exenzia Der Club di Prato - qui il report - abbiamo incontrato Dario Vlad, bassista dei Vlad In Tears, per quattro chiacchiere. Avevamo una mezz’ora a disposizione nel mentre che il resto della band caricasse il furgone e si preparasse per andare. Ci siamo messi comodi nel backstage...

Ciao Dario. Ti devo chiedere scusa, ma devo essere sincera, io vi ho conosciuti in quest’occasione. Sai dirmi perché? Ciao! Beh, si è abbastanza facile. Noi l’Italia non l’abbiamo mai considerata più di tanto. Abbiamo il nostro seguito, ma nel resto d’Europa.

E perché? L’Italia è il paese delle coverband. Ci sono band inedite che sanno fare, che potrebbero diventare qualcuno, ma restano una piccola realtà perché non sono sostenute dal pubblico e dal sistema in generale ed anche i gestori dei locali spesso non riservano il giusto spazio agli inediti. L’italiano medio purtroppo si muove prevalente attraverso il mainstream e quello che già conosce che “fa figo”.

Quindi, provare a cambiare le cose, a “combattere il sistema” pensi sia una battaglia persa? Onestamente, si! Rischio di spendere vent’anni della mia vita, per cercare di affermare la mia musica, per poi rischiare di non cambiare niente. Un minimo di feedback ad un certo punto è necessario. La band non ricerca solo e per forza un locale pieno, ma spinge per portare avanti un’idea, la propria, quindi cerca l’interesse. Vista la situazione italiana, non me ne faccio neanche un problema se stasera c’erano poche persone.

Sei arrabbiato con quest’Italia, allora? Più che arrabbiato, sono stupito. L’Italia era il paese della cultura ed è diventato un paese di marionette.

È un consiglio quello che dai? Alle band che propongono generi più d’élite, come il vostro, dici di andare via ed espatriare? Si, si, andate all’estero!

Come migliora in questo senso il sistema all’estero? È più meritocratico. In generale il pubblico risponde in un modo diverso! All’estero non si fanno problemi a pagare 20€ per ascoltare una band. Culturalmente noi italiani siamo nettamente avanti. Ma qui gli artisti soffrono. Il paradiso non esiste da nessuna parte. Ma fuori di qui se ti sbatti un po’ puoi riuscire a far qualcosa. In Italia puoi fare tutto il lavoro certosino che vuoi, ne uscirà sempre poco.

E com’è Berlino? Ci viviamo da 5 anni. Berlino non è una città rock, ma ti permette di connetterti con il mondo.

Voi vi siete date una definizione? Si, ci identifichiamo in un genere, ma questo è più un problema che riguarda le persone, piuttosto che i Vlad In Tears. Il pubblico ama etichettare; così si facilita il compito di scoprire in autonomia “cosa” quella band sia o faccia. Abbiamo tirato fuori l’ultimo disco in cui tutto facciamo fuorché seguire i canoni. Forse il problema della musica di oggi è questo: se non hai un’etichetta, la gente perde interesse. Ma la musica live va seguita: se si aspetta di diventar famosi con la vendita dei dischi…

Passami il concetto forse un po’ crudo, ma non credi che la poca risposta di stasera possa essere anche il risultato del vostro lavoro? Vi siete trasferiti in Germania, avete lasciato l’Italia e vi siete concentrati sul mercato estero. Avete preferito affermarvi lì, dove band che portano avanti questo genere hanno sicuramente più probabilità di emergere. Quindi scartando l’Italia, è probabile che vi conoscano meno persone. Sicuramente, ed aggiungo che potremmo semplicemente non piacere, ma siamo venuti in Italia con i 69 Eyes ed a Bologna c’erano 100 persone. Potranno non conoscere noi, ma i 69 Eyes fanno parte della storia. Bologna città universitaria, mentalità apertissima, tantissima cultura, eppure anche qui manca questo tipo di interesse. Quando qui ci sono 100 persone sotto al palco, nel resto d’Europa ce ne sono 1000. Ovviamente parlo ancora di underground.

Il disco, oltre al momento live, viene promosso anche in altro modo? Quali sono i canali attraverso i quali vi muovete fuori di qui? Anche attraverso il circuito radio alternative esterno, che è decisamente più capillare. Comunque sta andando bene, la risposta è veramente ottima. Il disco è uscito il 15 dicembre, siamo già usciti in alcune classifiche europee.

Qual è il Paese in cui riuscite a vendere di più? Sicuramente la Germania, ma comunque direi tutto l’est Europa. Paradossalmente anche gli Stati Uniti, perché il nostro è un genere particolare. Mescoliamo diversi generi: questo disco è anche un po’ più blues, un po’ di crossover, l’eterogeneità attira fans anche negli USA.

Avete fatto due tour con i 69 Eyes. Come vi siete trovati? Si, due tour bellissimi. Il primo solo il est Europa, nel secondo siamo scesi anche in Italia. Con loro benissimo. Sono dei grandi musicisti e delle persone bellissime: semplici, molto umili. Si sta parlando di una band che ha fatto la storia del genere.

Avete in mente di rifare qualche altra cosa con loro o con qualche altra band in particolare? Guarda, abbiamo suonato con tantissime band. L’unica band con cui ora ci piacerebbe suonare è solo Manson.

Qual è la vostra cultura musicale alla base del vostro percorso di musicisti? Sicuramente la musica di fine anni ’60, quella acida, rock, di rottura. Però anche cose contemporanee, elettronica, dark. Quando ascolti tanta musica tutto il giorno poi è inevitabile che un po’ ti influenzi. Ma non siamo influenzati nelle nostre composizioni da qualcosa di specifico.

Siete emozionati per questo tour? Una data dietro l’altra, nemmeno un day-off! È il primo da headliner? Già! Sono anche date sparse per l’Europa, ci sarà da divertirsi. Abbiamo già suonato headliner, ma solo in Germania, sicuro è il primo tour Europeo di questa natura.

Altri progetti per i Vlad? A marzo faremo un altro video dal nuovo album. È un continuo divenire, ma non posso assolutamente parlare dei prossimi progetti. Ancora sono un segreto.

Rapporto con i fan? Bello. Molto uniti con la nostra fanbase.

La tua conclusione? Io spero che cambi, che locali del genere tornino ad esistere, perché dieci anni fa l’Italia era piena di locali del genere. Sarebbe bello vedere meno gente attaccata al televisore e più presente ai live. A prescindere che il gruppo finisca per piacere o no, è bello uscire di casa e scoprire e sostenere questi ambienti.

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