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GARY MOORE: Still Got The...Moore

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Erano gli anni '50, precisamente il 1952, quando in quel di Belfast il mondo accolse la nascita di un futuro chitarrista in grado di suonare qualsiasi genere. Era il 1968 quando Dublino lo accolse, e fu il 6 febbraio 2011, ad Estepona, nell'iberica penisola, a dargli il commiato senza alcun bis. In mezzo, 41 anni di una carriera mostruosa, passando dal blues al rock, dall'hard rock alle ballate sentimentali, facendo qualche incursione ai limiti del metal, del jazz, del celtic sound e ancora molto più in là. Se non avete ancora capito di chi parliamo, allora continuate nella lettura e cercate qualche info su un ragazzone classe 1952 di nome Gary Moore, al secolo William Robert Gary Moore...

Saltiamo in larga parte le note biografiche, le trovate ovunque. Qualche nota storica però è d'obbligo. Spariamoci dunque tutte le cartucce temporali, demarcando una linea entro cui ci muoveremo: a 16 anni va a Dublino e fonda gli Skid Row, primo suo gruppo professionale (che nulla c'entrano con quelli di Sebastian Bach e soci), con cui apre anche a Peter Green. Dal '73, dopo la parentesi Skid Row, al 2011 si lancia come solista e in varie collaborazioni con i Thin Lizzy del suo amico Phil Lynott, di cui poi divenne membro fino alla morte di questi, con i Colosseum II fino allo scioglimento della band e collaborò con altri nomi eccellenti del panorama musicale. Nel 1982, quando divenne un solista puro e sfornò una sequenza rapidissima di dischi, collaborò anche a diverse attività musicali benefiche, e nel 1990 diede alle stampe il disco in cui suonarono, tra i vari, anche  Harrison dei Fab4 e Albert King, dal titolo 'Still Got The Blues'.

Nel 1995 diede il suo tributo a Green realizzando 'Blues for Greeny', composto da brani di Green reinterpretati da Moore e suonato con la Les Paul '59 che lo stesso membro dei Fleetwod Mac gli vendette allo scioglimento della sua formazione. (ora quel chitarrone è di Kirk Hammett, NDR). In mezzo a tali avvenimenti, i suoi dischi solisti erano carichi di hard rock al limite, potenza pura, e di ballate delicatissime. Poi vi furono gli Scars, il progetto 'One World Project' e la sua tourneè mondiale che vide la fine del buon Gary il 6 febbraio 2011, in quel dell'iberica Estepona. Ora che abbiamo detto tutto, passiamo al cuore dell'articolo, il Moore chitarrista, principalmente attraverso i suoi lavori solisti.

Il ragazzone di Belfast aveva un cuore blues, l'anima rock e le mani jazz. Specifichiamo: il blues, il primo amore, l'indimenticata passione, lo senti in ogni piccolo tocco della mano sinistra sul manico e in ogni movimento della destra sulle corde. 'Parisienne Walkaways', singolo del 1979 da solista, è un inno alla pentatonica e alla dolce tristezza. Note lunghissime, ricche di sustain, si alternano a scale velocissime e quasi rabbiose. La distorsione che utilizza per arricchire e saturare la chitarra è quasi hard rock per grossezza e potenza, l'impatto è definito e netto, ma ne fa uscire uno slow blues che ti strazzia dentro, facendoti camminare con lui lungo le passeggiate parigine.

L'anima rock, adolescenziale e cattiva, guascona e indomabile, allegra e squarciona, la si sente piena con i suoi Skid Row, nel rock blues imperante e prepotente della sua chitarra, in cui nelle pause dinamiche resta da solo a suonare, andando in feedback con la seicorde e facendo bending quasi provocatori; il Gary rockettaro lo senti con i "suoi" Thin Lizzy (e specifico: era amico personale e intimo di Phil, che inizialmente doveva essere il frontman degli Skid Row, e successivamente Gary entrò in pianta stabile nella line up dublinese di Lynott): rifece con loro "Parisienne Walkaways", che prese una piega ritmica molto più rock, ha inciso un album con loro dal titolo 'Black Rose: A Rock Legend", mentre leggendaria resta "Out in the fields" (brano presente in 'Run For Cover', dove si sente una chitarra quasi teppista nel riff accompagnata da un basso vandalico e martellante. Eppure, è la medesima mano che tocca le corde, è la medesima mano che esegue le scale....e qui analizziamo l'ultimo punto: le mani del jazz. Dicono che un suonatore di jazz possa suonare qualsiasi genere, perchè le sue mani non conoscono genere. Moore non conosceva generi, solo note. Poteva davvero suonare qualsiasi cosa. E non è una esagerazione. 

A questo punto, col vostro permesso, faccio il musicista e mi permetto umilmente di dare un piccolo excursus tecnico. Partiamo dalla premessa che il tocco di Gary è riconoscibilissimo, unico, come per un Santana, un Page, un Blackmore, un Clapton. Nel suo suono, quando si dedica al suo primissimo amore, il blues, l'esacordato Moore predilige i toni grossi e un po' più cupi del pick al manico come nel singolo "Still got the Blues", 1990. Le saturazioni che ottiene con le frequenze del pick up al manico sono più "cicciotte", un po' più impastate, quasi rabbiose. Lo senti che lo ha dentro, le dita della mano sinistra lo urlano ad ogni nota attraverso quell'humbucker selezionato in posizione NECK. Quando invece si dedica all'anima rock, lì, nel suo essere guascone e esagerato, posiziona il suo suono nel pick up al ponte, più brillante, caciarone e tirato; tutti lo fanno al ponte, il rock, vero, ma il modo di farlo del nordirlandese è oltre il canonico. L'essere squarcione e teppista sonoro nel suo rock è delineato, chiaro, sempre molto di classe, fa lo sbruffone sapendo dove fermarsi senza risultare ridicolo. Anzi, in qualsiasi album lo si voglia ascoltare, anche quando sfocia in sonorità molto più aggressive al limite dell'heavy metal (vedi 'Corridors of Power del 1982, 'Dirty Fingers' del 1984, 'Victim Of The Future sempre dell'84, 'Run For Cover, 1985, 'Wild Frontier, 1987, ed 'After The War' dell'89), non lo si trova mai fuori posto. Ha sempre preferito il tono massiccio dell'humbucker rispetto al single coil, anche se quest'ultimo non lo ha disdegnato nel corso della sua carriera, come con gli Skid Row. Principalmente ha prediletto le saturazioni high gain, con sustain e distosione spinte, come gli Screamer o i Muff, e qui non intendiamo il famosissimo pedale, ma il tipo di circuitazione, rispetto ai più classici e diffusi overdrive, che meglio si sposavano nel suo suono definito con l'humbucker. Inoltre, una piccola curiosità: Moore era mancino di natura, ma suonò sempre con la chitarra destrorsa.

Chiudiamo con delle scuse a voi lettori: 41 anni di carriera e di musica di questo livello andrebbero analizzate e snocciolate in una enciclopedia, con un capitolo per ogni singola canzone e un volume per ogni singolo disco, appendici speciali per ogni sua collaborazione. Speriamo invero di avervi incuriosito e avervi spinto a conoscere di più di questo gigante silenzioso e riservato della musica irlandese e mondiale. Voglio lasciarvi con una frase che ha segnato il mio modo di essere musicista e che, umilmente, penso si adatti perfettamente a Moore: quando suoni la chitarra, le mani dicono chi sei.

 

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