PINO SCOTTO, MASSIMO VILLA: Cuore di Rock 'n' Roll

Brusco, maldestro, esplicito, è sempre apparso così Pino Scotto. Filosofo da marciapiede, metal meccanico dal forte senso etico e dalla grande sensibilità musicale. Ha sempre creduto nel suo fare musica, nel blues, nel rock ‘n’ roll come mezzo di contaminazione, e nel crossover come espediente al nuovo. E’ patrimonio preistorico del R&R italico. Sul finire degli anni ’70 dà vita ad un raro esempio di band southern rock, i Pulsar, formazione a cinque (con Ray Accardi e Ruggero Zanolini). Di loro c’è solo traccia di un 45 giri (“A Man On The Road”,” Dream”) del 1979. Si percepisce il gusto per The Allman Brother Band. Due tracce dal suono caldo, jammato, con armonica, percussioni, congas e profumo di chitarra resofonica (per l’amplificazione del suono). Originario di Monte di Procida, con i Day Dream si allena nel Rione Sanità di Napoli, con gli Ebrei (coverband) al Vomero (all’età di 19 anni). A causa del servizio militare si trasferisce prima a Roma, e poi a Milano, città complici che gli consentono di assistere a concerti storici: 1968, Brancaccio, Roma, Jimi Hendrix, e nel capoluogo lombardo può apprezzare Humple Pie, Chicago, Genesis, Grand Funk Railroad, Ufo, Santana, Rory Gallagher, Led Zeppelin, etc. La sua vita inizia a prendere forme precise in questa città; si dedica a famiglia e al lavoro senza mai abbandonare il suo credo. Ha sempre cercato di sfruttare tutte le ore di una giornata (prima il dovere e poi il piacere). Un uomo proiettato da sempre in avanti. Ed è negli anni ’80 che con riviste come Tutto Musica, HM, la sua figura inizia ad assumere in un certo senso, un ruolo di guida nei giovani ascoltatori di hard rock ed heavy metal in Italia (l’autore Massimo Villa ne rimarrà folgorato). Il dinosauro Pino, con i Vanadium (1982-1995), ha contribuito a scrivere pagine di storia. Una band la cui chiave del successo era rappresentata dalla sua spontaneità (testi a carico di Scotto e composizioni influenzate dalla scena hard/heavy internazionale). La sua carriera solista si apre con un album spacca culo, ‘Il Grido Disperato di Mille Band’; disco da sparare live, con convinzione (anche contro i soliti detrattori), alla guadagnata esibizione al Monster Of Rock nel 1992 a Reggio Emilia, che termina con la richiesta (a Pino) di un autografo da parte di Ronnie James Dio (presente con i Black Sabbath). L’intenzione di discostarsi dal suo stesso passato è sempre presente in Pino. Lo fa con i Fire Trails. L’autore della biografia Massimo Villa invita a riascoltare il secondo album loro (‘Third Moon’), e spesso si sofferma in giudizi molto positivi su alcuni progetti in particolare, cercando di alimentare curiosità del lettore. Ma sono le parole di molti collaboratori di Pino sparse nel proseguo del libro che rafforzano la sua figura, come Elena Di Cioccio (che ne cura la prefazione), Omar Pedrini, Claudio “Il Profeta” Venturi degli Atroci, Andy dei Bluvertigo, Enrico Ruggeri, Terence Holler (Eldritch), il regista Bogo Alberto (Extreme Jukebox), Caparezza, Roberto Tiranti (Labyrinth), etc. Sinceri i racconti nel capitolo ‘Pino Scotto visto dagli altri’ (dalla parte dei suoi musicisti). Dalla sua parte, invece, manifesta un certo rammarico, il rimpianto di non aver potuto godere di quel “senso di famiglia” che dovrebbe sempre trasferire una band ai propri componenti (e cita gli Iron Maiden). La biografia segue un percorso temporale che va avanti ed indietro nel tempo. Il suo racconto è quasi poetico sul flirt con gli eccessi. L’immagine che descrive di Lemmy con il respiratore è la scintilla del suo agire; poche parole e fatti, quando si tratta del “suo” personale. Commuovente il capitolo ‘Panico!’ Una distrazione e l’incidente. Gli tolgono i punti dalla patente. Subisce un’operazione alla carotide. Sopraggiungono gli attacchi di panico. La psicoterapia come strumento, ma è nella musica, con gli show acustici post covid (dall’approccio più introspettivo), che trova la cura! Purtroppo, deve ancora pagare il conto. Lo condannano a novanta giorni di lavori socialmente utili. E questa forse è una delle cose più belle che gli possa succedere; per l’associazione ONLUS “Le Vele” paga lo scotto, dando lezioni di musica e di canto a bambini disagiati. Terminato il periodo, continua l’attività come volontario: nei bambini trova amore, forza, ed un accrescimento ulteriore. E’ sempre più consapevole quali siano le attività che lo tengono in vita. Ha una prospettiva unica, la passione è il suo punto di fuga. Pino è un chiacchierone (fiumi di parole), nel libro racconta del nuovo progetto del 2025, lo definisce un ritorno alla luce, alla purezza (‘The Devil Call’). La scelta di utilizzare una voce narrante doppia, identificata da un simbolo di punteggiatura, le virgolette, ha contribuito alla resa fluida ed autentica della lettura del libro. Una voce sempre un po’ grezza quella di Pino (spesso mi è sembrato di sentire la sua voce leggere), ed una voce, quella di Massimo Villa, a tratti nuvolettata (ha voluto rendere partecipe il lettore dei suoi pensieri). La storia, gli aneddoti raccontati hanno preso poi il sopravvento. Ho divorato il libro. Sono stata pervasa da sentimenti di curiosità, empatia, ed ironia. Ho un grande rispetto per Pino Scotto. E ‘Cuore di Rock ‘n’ Roll. Una vita meravigliosamente stonata’ è un libro per tutti.
Commenti