L'ORO DELL'ASIA: Nuove band dal fronte orientale
Facciamo due conti. Conosciamo veramente pochissimo del metallo degli altri Paesi. Se riusciamo a nominare anche due gruppi per ogni regione italiana, con certi Stati arriviamo a due nomi in tutto. Se si parla di Arabia Saudita, è comprensibile (e gli AlNamrood sono da supportare per infinite ragioni). Se si parla di India no. Ragazzi, gli indiani sono oltre un miliardo. Una persona su sette a questo mondo è indiana. E noi non conosciamo alcuna band di quelle zone? Magari pensando che sono tutti mezzi morti di fame e incapaci di strimpellare il riff di "Smoke On The Water"? Pusillanimi. Menti piccole. Vi sbagliate di grosso. Siamo stati contattati dalla Transcending Obscurity India, etichetta di quelle parti che ha già transitato da queste parti grazie a qualche uscita di Rogga Johansson (forse Paganizer, ma potrei sbagliarmi), con tre gruppi che meritano la mia e la vostra attenzione.
I Chaos vengono dal Sud dell'India e hanno del peperoncino nel didietro:l'aggressività per loro non è una clausola di stile per dire che fanno mero casino. Mischiano gli Overkill più grezzi ai Testament e rispetto all'esordio del 2013 in 'All Against All' ci sono tonalità slayeriane sia nelle velocità a rotta di collo che nel timbro vocale, il tutto inframezzato da alcuni accenni groove. Mica male la tensione creata, azzannano senza soluzione di continuità e con una produzione più che decente. Bisogna migliorare alcuni riff più melodici (in cui i ragazzi non sembrano affatto a proprio agio) e un po' di varietà in più nel gioco delle varie influenze non guasterebbe. Ancora acerbi, i Chaos, perché mettono il torrente di riff al centro e non le canzoni, e infatti quando la chitarra si prende un momento di svago il brano viene meno. La cosa importante è che hanno le idee molto chiare su cosa vogliono fare da grandi.
Sono più organici e pronti a fare il giro del mondo i Plague Throat, i miei preferiti di questa infornata di succulenta carne di vacca. Come dite? È sacra in India? Anche questa band lo è, infatti dovete procurarvi al più presto 'The Human Paradox'. Se occidentale è sinonimo di preparazione, tecnica, brutalità, dissennatezza e bei suoni, allora lo è. Ma chi se ne frega di riferimenti geografici, in fondo i Cannibal Corpse e i Nile, i Vader e gli Hideous Divinity sono dietro l'angolo e non vedo perché Transcending Obscurity non dovrebbe sfruttare a pieno un'uscita sanguinaria come questa. I quantitativi di sghiribizzi per musicisti col pelo sullo stomaco sono esattamente bilanciati con la necessaria pesantezza di un perfetto album death metal, anzi, diciamo pure che si cerca sempre di tenere palla bassa e fare passaggi corti per arrivare in porta senza l'affanno. Non avranno una personalità straripante, ma la lezione di album come 'Kill' l'hanno imparata alla perfezione mettendoci anche qualcosa di loro.
Il bastimento carico di spezie provenienti dalle Indie mi fa ritrovare una vecchia conoscenza, già passata sotto la mia ascia. I Demonic Resurrection sono di Bombay (che oggi dovrebbe chiamarsi solo Mumbai, ma siamo gente old school qui su Hardsounds.it) e ci riprovano. Ci stanno provando dal 2000, in realtà. L'album più interessante dei cinque pubblicati fino ad ora era 'A Darkness Descend', grazie alla grossa componente di metal estremo e alla presenza ancora ridotta di elementi sinfonici rispetto a quanto sarebbe successo dopo. 'Return to Darkness' (i titoli non sono proprio la cosa più originale della band...) era indigesto, poi tre anni fa la band è arrivata addirittura su Peaceville. Su 'A Pale King' devo ammettere di aver cambiato in parte idea. Capita, eh. Soprattutto quando si studiano meglio i dischi precedenti e successivi. La sua lunghezza non supportata da idee concrete è tutt'ora un handicap, ma alcuni pezzi hanno preso quota. Ci sono parti che si fanno ricordare, che in certo metal estremo con velleità orchestral/progressive non è certo cosa comune. Le tastiere sono abbastanza scandalose e povere, ma non si può avere tutto dalla vita. Le copertine sono sempre molto esplicative del contenuto, così 'Dashavatar' è proprio quello che sembra dal fantastico disegno di presentazione e segna la finale evoluzione dei Demonic Resurrection. Gli effetti etnici, gli archi e i fiati che si rincorrono sempre sono di alto livello, molto più realistici che in passato. In generale l'atmosfera è più professionale, i Nostri sembrano molto più pronti nelle parti melodiche, anello debole di 'The Demon King', e arrembanti, ispiratissimi in quelle più estreme. La componente più aggressiva si muove con agilità tra il death melodico il black, andando spesso a scomodare il prog di alcuni assoli, voci anche pulite e tanto per essere completi aggiungiamo qualche intervento di sitar e canti buddisti. È bello constatare come si senta orgogliosamente la loro provenienza e che la sappiano mettere in evidenza senza sfigurare davanti alla comunità metal internazionale: Melechesh nun ve temo.
Non voglio raccontare frottole: ho ascoltato questi tizi perché richiamavano nel nome il nostro Sommo Poeta e devo dire che ho fatto la scelta giusta. I Dante's Theory sono attivi da almeno dieci anni nel sottobosco di Singapore, ma 'Amut' è solo il secondo EP della loro carriera. Brani brevi, pieni di groove degno di una bitumiera che impasta resti umani. È death metal molto compatto che flirta molto con l'hardcore, non a caso tempo fa avevano inciso una cover degli Integrity. Tutto è molto riuscito e penetrante, con una produzione ottimale e dei riff molto intensi, di spessore elevato. Non ci sono grosse finezze tecniche o varietà: il gruppo mostra spesso i muscoli e non potrebbe fare altrimenti, senza dimenticare che non basta concatenare più riff per fare delle canzoni. Un parallelismo viene subito in mente: quello con i nostri connazionali Nofuck col loro ritorno su full length dopo dieci anni, 'Walls of Flesh'. Ma questa è un'altra storia. Rimaniamo alla finestra per i Dante's Theory perché sembrano sulla buona strada, pronti per un album lungo.
Sempre da Singapore vengono gli Assault e devo dire che mi aspettavo sprizzassero thrash da tutti i pori. Invece il thrash è solo una piccola parte del loro sound, in realtà molto imbastardito con torrenti in piena di death melodico di scuola Arch Enemy, Nightrage e Coram Lethe, se proprio vogliamo citare qualcosa di nostrano. Galoppando senza sosta, con stacchi di chitarre maideniane, i pregi di 'The Fallen Reich' stanno tutti nello slancio. Non si riesce a costruire qualcosa di più imponente o ragionato, "Ghettos" ad esempio è semplicemente una bozza di canzone. Il resto è un tripudio di chitarre soliste e riff che si infilano ovunque. Ogni tanto ci sono delle influenze più epiche o blackened death, ma in fin dei conti è tutto un susseguirsi di grattugiamenti con ottima tecnica e melodie, il solito compromesso del bastone e della carota. I pezzi sono solo sei e rimangono fin troppo generici nel loro incedere. Belli e senz'anima.
L'ultimo gruppo di questa rassegna ci fa scendere per strada a mangiare la polvere. Fortunatamente gli Heathen Beast di Calcutta (non il cantautore indie, per cortesia) hanno cambiato pelle col nuovo '$cam'. Dovete sapere che è dal 2010 che pubblicano, di tanto in tanto, EP di tre brani. Con quello dello scorso anno siamo arrivati a quattro e il genere era un black metal prolisso, un po' raffazzonato, con influenze folkloristiche indiane (ma va?) e menomato da una voce gracchiante e logorroica. Oggi Transcending Obscurity dice che fanno blackened grind. Ed è vero, in barba a chi dice di non fidarsi di quello che dicono le etichette. Non volevo crederci fino al momento in cui ho scaricato il promo. Se in passato i brani andavano dai quattro ai sei minuti, nel nuovo disco si va dai 52 secondi ai tre minuti scarsi. Rivoluzione necessaria e approvata in toto. Le tematiche di protesta sono sempre molto attuali e spingono anche un occidentale a farsi qualche domanda, ad andare alla ricerca delle cause dei vari conflitti che attraversano il Paese d'origine degli Heathen Beast. Dal punto di vista strettamente musicale sembra che abbiano capito i propri limiti e soprattutto che la semplicità paga. Anzi, la voce di Carvaka ne esce addirittura meglio che in altre occasioni e in generale è tutto più caotico e sgradevole (in senso buono). Non è ancora tempo di parlare di maturazione definitiva a causa di passaggi a vuoto e sample che sanno tanto di riempitivo. Come per i Chaos: ci siamo quasi.
Un piccolo extra ci viene offerto da un'altra label indiana, Cyclopean Eye. Non mentirò a voi, né a me stesso: mi sono convinto ad ascoltare i Blood Division -che vengono da Singapore- perché con loro milita Mike Priest, chitarrista che ha suonato con i mitici Impiety di 'Formidonis Nex Cultus' e 'Dominator', circa una decina d'anni fa. Spulciando per bene poi ho scoperto altri gruppi collegati a Mike e a H., misterioso altro componente dei Blood Division, ossia Draconis Infernum e Absence of The Sacred, che -manco a dirlo- sono tutti dispensatori di ferocia inaudita che spesso qui da noi in Europa è un po' messa da parte. In tutto questo 'Traitors to The Gallows' contiene un macilento incrocio d-beat/black metal in cui tanto si guarda alla cafonaggine degli Impaled Nazarene, tanto ai Discharge (presente anche una loro cover, tra l'altro). Anche quando si cavalcano ritmi black metaI i riff rimangono sotto controllo, amministrando la loro ignoranza in assoluta semplicità. Non è tutto un pastone monotono, la title track diventa persino doom... suonato con violenza caprina. È bellissimo poi constatare che il tizio che canta si stia impiccando con le sue stesse corde vocali, a giudicare dalla voce che esce fuori. Grosse soddisfazioni dal fronte orientale.
Remy
09/05/2017, 14:33
Awesome review! Transcending Obscurity is KVLT! \m/