PINO DANIELE: PINO DANIELE
Spiagge bianche, le onde che lentamente accarezzano la battigia mentre il sole tramonta e s'immerge nel mare a vista d'occhio sconfinato. Qualcuno ancora passeggia lungo la riva. L'aria si è fatta tersa, il cielo striato di colori caldi ed avvolgenti. Alte palme proiettano le loro lunghe ombre sulle strade dorate del giorno che sta per finire. Tra un cocktail e l'altro ti vedi seduto al tavolo di un bar, mentre la radio trasmette melodie sognanti che da tempo non ascoltavi, e ritrovi te stesso, quello che sei stato e quello che sei adesso nelle note di...Sunset Boulevard, la nuova rubrica di Hardsounds interamente (o quasi) dedicata alle sonorità West Coast. Pronti a viaggiare?!?
Pino Daniele. Il cantautore del sud che trae dal suo sentimento di odio e amore verso la sua città natale il mezzo per fare rivoluzione. Cantautore politico? Forse un tempo per il suo forte senso di giustizia. Sperimentatore ed innovativo in musica? Elaboratore di un nuovo mezzo di comunicazione che ha origine dal linguaggio del popolo che viene scardinato dalle sue stesse regole di lessico. Soppianta la canzone napoletana popolare, la rende più libera, libera di interpretare le influenze di altre lingue che, per via della storia e degli eventi, è costretta a conoscere. Ne trae alcuni elementi, ed inventa un nuovo gergo musicale che mescola col blues, con il jazz, con i ritmi latini, ma rimane sempre fedele ai contrasti della sua essenza. Creatore di una poetica fatta di tradizione ed innovazione, attraverso la musica cerca una possibile opportunità, un rimedio! E’ il 1979 e Pino Daniele realizza il suo secondo album omonimo, un lavoro dalle proprietà West Coast. E’ un disco figlio degli avventi della seconda guerra mondiale (sinergie che avrebbero inciso sulla produzione musicale a venire). Torniamo indietro nel tempo, come nella cover del disco (ore 8.00 e la guancia di Pino è sfregiata). E’ il primo ottobre 1946: l’America sbarca a Napoli. La popolazione è stremata dalle razzie dei tedeschi, la città è distrutta, gli alleati americani intendono prevenire rivolte, ristabilire democrazia e migliorare la qualità della vita del popolo napoletano. Usano la musica per stabilire buoni rapporti. Ogni nave militare americana ed ogni truppa a terra ha una sua big band formata da soldati. Il commissario Poletti organizza con queste band più concerti nelle piazze della città: questo è il primo approccio dei napoletani al jazz. Oltre ai generi di prima necessità, gli alleati portano con sé una quantità pazzesca di vinili che da sottopentola a separatori di libri fanno comunque il loro avvento. Emblematici i rapporti personali tra i soldati e le ragazze napoletane. James Senese, sassofonista in questo album, collaboratore illuminario e fidato di Pino Daniele, è un figlio della guerra. Nasce nel ’45 da un giovane soldato afroamericano ed una ragazza del posto. Un vecchio 78 giri di John Coltrane, la cui immagine raffigura un uomo di colore con un sax, scatena la passione musicale del giovane allo strumento all’età di nove anni (Je’ guarda quest’uomo, è come tuo padre). Figura paterna di cui perse ogni traccia. Intanto, negli anni ’50 a Bagnoli viene inaugurata una base della Nato, un vero e proprio focolaio di diffusione di tendenze provenienti dall’America. Al porto è costantemente attraccata una portaerei americana, trasformata dagli stessi americani in una specie di carrozzone, motorizzato, che gira per le vie della città; sopra un’orchestra suona jazz e swing (alla New Orleans). Al Vomero un’elite colta di ragazzi si appassiona di musica anglofona. Nelle zone limitrofe (Miano e Terzigno) si sviluppano realtà locali di rhythm and blues (gli Showmen). Positano viene definita la capitale della West Coast italiana per la presenza del cantautore texano Shawn Phillips. Arriviamo quindi alla fine degli anni ’70 con la nascita del movimento culturale musicale denominato Naples Power di cui Pino Daniele fa parte. Alcuni nuovi musicisti locali vengono soprannominati “neri del Vesuvio” perché hanno bisogno di essere tutelati e sponsorizzati, in quanto sovversivi nei confronti della canzone napoletana tradizionale. In ‘Pino Daniele’ (1979), le melodie soul jazz, hard bop, di bossa, di smooth jazz, si fondano con il calore del sud, e si dissolvono in suoni soft, avvolgenti. Il corpo sonoro delle composizioni si struttura in maniera differente dal sound della costa occidentale; non ci sono armonie vocali a più voci, una, al massimo due chitarre (classica, acustica, elettrica, mandolino), ed una sola voce (che spesso si trasforma in un’imitazione sonora della sei corde). Un dialogo cantato la cui forma richiama il “call and response” del blues, una conversazione tra la voce e gli altri strumenti musicali (per tradizione il caller improvvisava una strofa ed il coro rispondeva). Qui gli strumenti orchestrano una risposta con un fraseggio di sax, un battito di congas, un fiato di armonica (per esempio), e tutti sono guidati da una batteria setosa e basso/contrabbasso rilassato. E’ un disco blues nel sentimento, jazz nell’arrangiamento, West Coast nella fermentazione. Ritratti di persone, descrizioni degli elementi della natura e stati d’animo sono i temi trattati. Diversi potrebbero essere i rimandi ad artisti West Coast (i miei sono puramente soggettivi). Profumo di Stephen Bishop con le sue intro scampanellanti (“Everybody Needs Love”, 1978), o dalle pulsazioni latine (“Bish’s Hideaway”, 1978). Fraseggi bop, armonizzati con fusion alla George Benson (“Livin’ Inside Your Love”, 1979). Lamenti strazianti di sassofono alla John Coltrane in alcuni momenti, e ritmi frizzanti da Paulinho Da Costa in altri. Nel suo attento ascolto potresti beneficiare di tutto ciò che può offrire il suono setoso di John Tropea (con il suo progetto omonimo strumentale), la cui combinazione di più fattori, come la doppia batteria e l’arrangiamento jazzista permettono di sognare (“Dream”, 1975). Tutto questo però è realizzato in Italia, sulla costa occidentale, con turnisti eccezionali e con il linguaggio più diretto: il napoletano.
P 1979 EMI
Commenti