MICHAEL AZERRAD: American Indie 1981-1991
Tredici biografie, tredici spaccati di altrettante band nell’era in cui non esisteva internet che permetteva di diffondere in pochi attimi ed in tutto il mondo l’uscita di un disco, o annunciava un tour/concerto; nell’era della protesta contro la politica Americana dell'amministrazione Reagan, della nascita delle etichette underground che contrastavano l'egemonia delle major per ritagliarsi una fetta di pubblico e sopravvivere con l’etica del Do It Yourself (SST, Blast First, Homestead, Dischord). Nell’epoca in cui i tour li organizzavano le band stesse tramite il passaparola oppure attraverso i contatti che avevano stabilito con le formazioni delle città in cui andavano a suonare, nel decennio in cui per un concerto potevi essere pagato 5/10 dollari, viaggiando per un mese in un furgone maleodorante che cadeva a pezzi, nel quale c’era a malapena lo spazio per gli strumenti e si doveva viaggiare in 4/5 persone in condizioni proibitive le quali acuivano le tensioni/gelosie/invidie che immancabilmente si sono generate da quando esistono le formazioni. La violenza era all’ordine del giorno (chiedete a Greg Ginn o Henry Rollins sugli sputi e bottigliate ricevute, sulle risse che si generavano ad ogni loro live oppure cosa significasse vivere da hardcorers a los angeles, venendo fermati dalla polizia 5 giorni a settimana a causa di un look che non era quello comunemente accettato dalla società di allora). Non avere i soldi per sfamarsi e dover attendere gli amici che finivano il turno dai fast food per farsi portare qualcosa da mettere sotto i denti, del vivere in uno scantinato fatiscente trasformato in sala di registrazione, del fare le prove per 6 giorni a settimana per raggiungere la perfezione: Del cambiamento della personalità derivante dalle situazioni violente a livello fisico e psicologico che avevano come conseguenza la ricerca dell’isolazionismo di Henry Rollins (Black Flag) o, durante i tour, il dover dormire per terra in mezzo a merda, cani, gatti e topi dei centri sociali. L’essere arrivati ad uno sputo dal successo mondiale e tirarsi indietro per pigrizia (Dinosaur Jr) o perché non si sentivano adatti alla vita da rockstar (Mudhoney), l'epopea dei Sonic Youth e l'anticonformismo di Steve Albini (Big Black) che lo ha portato ad essere uno dei produttori più ricercati.
La vita da squatters perennemente sotto acido, l’inventarsi espedienti per sorprendere il pubblico a livello visivo (suonare immersi in un bidone pieno di merda – essere inseguiti e gonfiati di botte per aver insultato il pubblico olandese durante un concerto e riuscire a scamparsela inventando una scusa relativa ad un fantomatico cancro al cervello che gli impedisce di pensare prima di parlare - Butthole Surfers). Questi sono solo alcuni degli aneddoti di cui il libro è pieno ma alla fine di tutto il messaggio forte e chiaro che il libro lascia trasparire è che per portare avanti una band bisogna avere un attitudine pronta a farti sputare sangue, altrimenti la strada è breve, perchè American Indie non è da intendersi come pura accezione del termine cui siamo abituati oggi per indie rock ma come indipendent punk rock.
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