VIOLET SUN: Loneliness In Supremacy
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15/11/2010Dall’ormai lontano 1996 sino al 2003 Dario Grillo è stato il frontman degli italici power metallers Thy Majestie a cui sono seguiti nel 2004 i Platens (in realtà un one-man project). Ora il nostro torna con un rinnovato progetto che unisce le sue tante passioni musicali (qualcuno direbbe anime): i Violet Sun. Ad accompagnarlo in questa nuova avventura troviamo i fratelli Massimo e Alessandro, rispettiavamente al basso e dietro le pelli, e il soprano Alessandra Amata insieme a valenti ospiti. Il mastermind resta Dario Grillo che suona quasi tutti gli altri strumenti (orchestrazioni comprese), oltre a far da contraltare maschile ai vocalizzi dell’Amata. Come suonano questi Violet Sun? Pur definendosi gothic power metal è evidente sin dal primo ascolto che la proposta è molto più varia spaziando dal power metal (a tratti più speed alla Stratovarius) al progressive ("Synthetic Pleasures" ne è forse l’esempio più evidente), toccando il più classico AOR (gran colpaccio la romantica pomp-oriented "Falling In Love"), senza dimenticare l’influenza forse più marcata, soprattutto nell’interpretazione e in certi passaggi più sinfonici, dei Nightwish che permea tracce come la lunga "Cross The Line". 'Loneliness In Supremacy' è senza dubbio un album denso e complesso, pur nella scelta apparentemente facile del polistrumentista palermitano di dare spazio principalmente alla melodia dei duetti vocali tra la sua ugola più carismatica e la sua interpretazione più "sofferta", e l’esibizione dell’Amata (decisamente più anonima quando non derivativa della Turunen) mai sopra le righe. Passare dalla Nightwish-song di "Cross The Line" all’AOR di "Falling In Love" non è certamente cosa indolore, così come l’inserimento di un romantico sax insieme a sonorità più orientaleggianti, o il gothic di una traccia come "Pray On The Grave" che segue il power-prog della precedente, però vi garantisco che nell’insieme (curato nel mastering da Mika Jussila ai Finnvox Studios) è un debut di pregevole fattura e che non stanca dopo ripetuti ascolti, fattore quest’ultimo mai da sottovalutare. Menzione speciale per la conclusiva title track, una rilettura strumentale per piano e orchestrazioni dell’opener "Dust in the wind", ricca di pathos pur nella sua brevità, che chiude il cerchio sonoro tracciato con maestria da Grillo.
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