VAMPILLIA: Rule The World – Deathtiny Land
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12/05/2011Progetto nipponico che intreccia diversi stili che vanno dal metal estremo alla musica classica. Una sorta di orchestra squilibrata che alterna momenti malinconici ed acustici ad altri elettrici e schizzati. Brani dalla durata media molto breve, alcuni addirittura sembrano gli ultimi secondi - giusto un paio - di un brano che sta per terminare, ed altri ancora che richiamano inevitabilmente il punk-cabaret dei The Dresden Dolls. Frutto della teatralità di fondo che imperversa lungo l'intero lavoro. Non sfigura certo neanche il lato tecnico degli undici componenti che formano i Vampillia, assoltamente esemplare, e per quanto stravagante, bizzarro, sempre al servizio del concept che sta alla base del disco - in verità si tratta di due opere messe insieme data la continuità tematica trattata in entrambe. Ovviamente, di pari passo con l'enorme interesse e curiosità che 'Rule The World – Deathtiny Land' suscita, ci sono anche alcuni punti interrogativi che rendono il disco ostico e per certi versi non del tutto sensato: al di là della bravura e dell'atmosfera apparentemente surreale, la forma canzone è in realtà assente. Quindi l'album va approcciato con la convinzione che non si tratta, ehm, di un album nel senso stretto del termine, ma di un esperimento che mette in mostra le straodinarie intuizioni dell'ensemble di Osaka che riesce a tenere a freno in modo incontrollato il proprio universo schizoide. Ossimoro che calza alla grande per l'occasione, come salta immediatamente all'occhio il paradosso dei chilometrici titoli dei brani per canzoni della brevissima durata: non si fa in tempo a leggere il titolo che la traccia è già terminata. In pratica è un continuo contrasto, una lotta ora quieta, ora brutale tra opposti che riescono a convivere amabilmente. Se solo i Vampillia riuscissero a perfezionare le idee attraverso brani veri e propri, allora se ne vedrebbero di ancora più belle. Ma va bene così perchè il genio zampilla da ogni nota, e forse chiedere loro di essere altro potrebbe seriamente snaturare l'essenza che li rende per certi versi unici.
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