SOUL OF STEEL: Destiny
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01/02/2011Apparentemente l'esordio degli italici power-metallers Soul Of Steel pare nascere sotto una buona stella. Anzi due: Olaf 'Vision Divine' Thorsen e Roberto 'Labyrinth' Tiranti. Il primo produce l'album (mentre quelli della sua band sono stati affidati dal 2005 alle sapienti mani di Timo 'Strato' Tolkki), e il secondo appare come guest vocalist nella settima traccia. Con due fuoriclasse come quelli appena citati il successo di un album parrebbe messo in conto, ma le cose, fortunatamente, non stanno così. "Fortunatamente" poichè, altrimenti, comporre ed incidere musica sarebbe un processo meccanico nel quale, coinvolti determinati elementi, matematicamente si produrrebbe ottima musica. Sarebbe certamente bello per gli artisti, ma basta vedere gli ultimi esiti discografici di bands come Virgin Steele, Gamma Ray o degli stessi "Tolkkeniani" Revolution Renaissance (per limitarsi all'ambito power) per accorgersi che non è proprio così facile. I Soul Of Steel suonano più o meno come i Labyrinth degli esordi, senza avere lo spessore della band di Tiranti, e sopratutto senza giovarsi dello stesso talento dei suoi membri. Immaginatevi allora un vocalist come Gary Hughes, un cantante "confidenziale" con minor potenza vocale e classe del singer inglese che intona linee vocali pensate per Lione o Tiranti e "montate" su pezzi power/prog, ed avrete tracce come "Swordcross" (introdotta da una breve traccia strumentale con tanto di tastiere "elettroniche" tanto care ad Andrea De Paoli), o "Till The End Of Time", mazzata power sfiatata dal cantato. Se poi, come avviene per la gemma "Endless Night", si coinvolge proprio l'ugola dei Labyrinth si coglie al volo come sarebbe potuto essere questo lavoro se interpretato da un singer adatto. Insomma, se Gianni Valente ne esce con le ossa rotte, avremmo gradito sentire maggiormente le tastiere di Simeone, spesso molto coinvolgenti sopratutto nei lenti, anche se i due chitarristi assolvono degnamente al loro ruolo. 'Destiny' termina il suo percorso superati di poco i quaranta minuti, e lasciandoci ancora memori della sola settima traccia cesellata dalle bellissime stratificazioni vocali del grande Tiranti. Il resto è ordinaria riproposizione di stilemi già uditi più volte dalla band a cui guardano i sei tarantini.
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