PARADISE LOST: BELIEVE IN NOTHING
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23/12/2005"e dopo la tempesta fu la volta della luce" Leggendo questa frase e rapportandola alla musica dei Paradise Lost si potrebbe pensare a questo 'Believe In Nothing', uscito nel 2001 per la EMI come ad una sorta di risollevamento dopo la caduta avuta con il precedente 'Host'. Ciò non è vero per due semplici ragioni: in primo luogo 'Host' non fu affatto una caduta, ANZI; in secondo luogo questo album non è per niente migliore del predecessore, ANZI. Con il produttore John Fryer che aveva già lavorato con Nine Inch Nails, Gregor Mackintosh (pardon, qui viene creditato come Greg) danno alla luce un album musicalmente più vicino alle chitarre ma senza deprecare quanto di buono scaturito con l'accoppiata di albums elettronici precedenti: vedendola sotto questa forma avrebbe potuto sicuramente funzionare se non fosse che i dodici pezzi che compongono l'album mostrano qualche scricchiolino. A livello di songwriting mi sembra che le cose siano state fatte contro voglia, senza prendersi i giusti tempi e in assenza di (o in presenza di pochissima) ispirazione. A parte gli sporadici esempi quali l'opener "I Am Nothing" e "Fader" l'album passa parecchio inosservato pur presentando anche in questa occasione il marchio di casa PL sin dalle prime note d'apertura. Un album diplomatico per accontentare la casa discografica e liquidare così un contratto (notare che poi il gruppo poi firmerà per la GUN)? Questo sinceramente non lo so e non l osaprò mai probabilmente, quello che so è che colloco questo 'Believe In Nothing' sul gradino più basso della discografia del gruppo di Halifax e ripeto, non tanto per l'esecuzione (magistrale come sempre) quanto per la fase compositiva che ha generato brani troppo scialbi e privi di vita per poter attecchire nelle orecchiee nei cuori degli ascoltatori...
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