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OPETH: ORCHID

data

05/07/2003
90


Genere: Melodic Death Metal
Etichetta: Candlelight
Anno: 1995

Se c’è un paese che negli ultimi dieci anni ha saputo partorire numerose e validissime realtà musicali, questo è sicuramente la Svezia, e tra i “figli” di questa terra vichinga non possiamo certo tralasciare gli Opeth. Gli Opeth appaiono per la prima volta sul mercato a metà degli anni novanta con “Orchid” e le prime impressioni destate nel pubblico sono decisamente positive: ciò che propone la band di Akerfeldt è sì un death metal melodico che per certi versi rispecchia le caratteristiche di altri gruppi conterranei (At The Gates, Dark Tranquillity, In Flames), ma ciò che da questi li diversifica, la caratteristica peculiare dell’Opeth-sound, è la struttura dei brani, articolata, complessa all’inverosimile, e meravigliosamente imprevedibile. Basta ascoltare l’opener “In The Mist She Was Standing” per lasciarsi trasportare da un fiume in piena di emozioni: momenti soffusi si alternano a inarrestabili cavalcate di chitarra dando così vita ad un susseguirsi di diverse atmosfere, che si amalgano perfettamente tra loro. La voce di Akerfeldt, delicata, quasi sussurrata nei passaggi più intimisti, si mostra in tutto il suo vigore quando si tratta di accendere i toni, grazie ad un growling potente e sofferto, da cui traspare spesso un velo di malinconia. E proprio la malinconia, così come altri elementi decadenti, fa spesso breccia nella musica degli Opeth, la quale sembra essere avvolta da uno spesso strato di nebbia che ne attenua i colori, e trasforma tutto in splendide tonalità di grigio. I testi ovviamente non fanno eccezione, ed anzi hanno un ruolo decisivo nel sottolineare in modo ancora maggiore il carattere tutt’altro che solare del lavoro: ascoltare questa opera prima degli Opeth è come stare immobili in una desolata landa scandinava, vittime di un vento impetuoso che gela il sangue nelle vene e immobilizza la mente, ancor prima che le membra. Tra i brani migliori di “Orchid” c’è sicuramente “The Forest Of October”, ipnotica nelle parti più lente, grazie a passaggi acustici a dir poco alienanti capaci di far viaggiare la mente dell’ascoltatore verso scenari lontani, verso dimensioni parallele in cui l’uomo è solo, immerso nell’immensità della natura ed è inerte dinanzi alla sua maestosità (“The Forest Of October, Sleeps Silent When I Depart, The Web Of Time Hides My Last Trace”). Questo se mi è permessa un’interpretazione in chiave romantica, nel senso puramente letterario del termine. Nonostante “Orchid” sia un debut album, i sette brani che lo compongono danno l’idea di una band già matura, pienamente conscia dei propri mezzi e che pare aver ben chiare in mente le direzioni musicali che intende percorrere. La cosa bella è che questo è solo l’inizio! Già perché da qui in avanti gli Opeth produrranno una serie di capolavori che permetterà loro, a ragione, di essere considerati come una sorta di nascente fenomeno metal del nuovo millennio.

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