NIMH: TRAVEL DIARY
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06/04/2010Lavoro non facile questo di Nihm. Necessita di una concentrazione massima per farsi metabolizzare completamente. E non potrebbe essere altrimenti durante un'esperienza come quella "raccontata" in 'Travel Diary': registrazioni su campo e vociare ipnotico correlato da strumentazione etnica. Viaggio in Thailandia, precisamente. In pratica, il buon Giuseppe ha deciso di rimasterizzare del vecchio materiale già inciso privatamente una decina d'anni fa, aggiungendovi un inedito. Il risultato è pregno di fascino, anche se alla lunga le composizioni risentono troppo dei fields recording sparati in loop, quando l'ambiente è il "vivo" della vita quotidiana, quella dei villaggi, come quella dei mercati. Più convincente, anche se a tratti fredda, l'orchestrazione frutto degli strumenti tipici in cui è più intensa la sensazione di trovarsi altrove, in quei posti, rispetto a quando ci si ritrova nel bel mezzo dei giorni ordinari di un popolo distante anche, ed in particolare, culturalmente dalla civiltà occidentale. Come tutto l'oriente, nello specifico. Alla fine, dopo averlo ascoltato più volte, è la seconda parte disco ad emergere sulla prima, quella più "canonica"(da notare che non sono presenti né synth, né elettronica), in cui spiccano drone e vuoti siderali riempiti dai suoni tradizionali del luogo, da percussioni, da strumenti a corde ed a fiato, e la sensazione di chiusura è di pienezza, di soddisfazione, di un itinerario meta-musicale che ha principio e fine, ma che lascia intravedere tante deviazioni quante le sfumature che si riescono a cogliere lungo l'intero percorso. Così ritorni a casa più "ricco" di prima, anche se, nel caso, ti assale la voglia di ritornarci più perché qualcosa ti è sfuggito, piuttosto perché il posto ti ha estremamente stregato.
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