NEVERMORE: DEAD HEART IN A DEAD WORLD
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09/11/2003A distanza di due anni dall’oscuro “Dreaming Neon Black” i Nevermore ritornano sul mercato presentando la loro quarta fatica, intitolata, non certo in un momento di ottimismo, “Dead Heart In A Dead World”. Abbandonata la line up a cinque elementi in favore di un ritorno alle origini (e a discapito del pur bravo Tim Calvert), tutte le parti di chitarra sono affidate alle sapienti mani di un Loomis in grande spolvero e sempre più incisivo anche in fase di songwriting. “Dead Heart” è l’ennesima grande prova della maestria dei Nevermore, ancora una volta in grado di proporre un riuscito mix tra il thrash metal a loro caro e le influenze più darkeggianti a cui è particolarmente legato il biondo singer Warrel Dane. Gli undici pezzi presenti mostrano una band determinata, capace di scrivere brani molto differenti tra loro, ma che nel contesto riescono ad amalgamarsi alla perfezione: incontriamo così tracce che si avvicinano maggiormente agli standard compositivi passsati della band (“Narcosynthesis”, “Engines Of Hate”), ma anche canzoni che presentano nuove soluzioni melodiche, come l’evocativa “Evolution 169” o l’accusatoria “Inside Four Walls”. Merita un discorso particolare “The Heart Collector”, per me best hit dell’album, e di sicuro una delle migliori canzoni di sempre del combo a stelle e strisce. La semi-ballad in questione, articolata attorno ad una melodia cupa e ricca di feeling, si insinua prepotentemente nella mente dell’ascoltatore, dove può erompere con tutto il suo carico di drammaticità. Potremmo discutere anche della rivisitazione in chiave Nevermore della storica “The Sound Of Silence”, letteralmente stravolta dal genio dei quattro musicisti, oppure del tono tristemente sentenzioso che caratterizza la title track. Ma, a questo punto, ogni parola spesa in più per raccontare “Dead Heart In A Dead World” è solamente del tempo sottratto all’ascolto del disco. Ascolto, che se non mi sono ancora spiegato, è più che obbligatorio.
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