LIGRO: DICTIONARY 2
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26/02/2013Dopo aver ascoltato questo disco c'e solo un aggettivo che potrebbe riassumerne al meglio il contenuto: Incredibile! La cosa più incredibile è l'origine di provenienza di questo progetto: l'Indonesia! Eh si, perchè i tre musicisti indonesiani con questo disco ci offrono un genere che sicuramente non trova origini in quella determinata zona geografica, ripescando infatti a piene mani nella tradizione inglese ed americana di inizio anni '70! Il trio (non più giovanissimo) dimostra di aver appreso benissimo le lezioni dei grandi maestri del passato, fornendo una prestazione tecnica/strumentale di livello quasi maniacale e chirurgico che non lascia il benchè minimo spazio all'errore. Da questo punto di vista le influenze musicali sono chiare e limpide come il sole, partendo dalle tipiche dissonanze e soluzioni strumentali chitarristiche alla Mahavishnu Orchestra, finendo irrimediabilmente con le citazioni ovvie a grandi artisti del free jazz e della fusion come il grande Miles Davis. Il gruppo però (forse con un pò di narcisismo), essendo ben conscio di saper suonare per davvero, ci infila anche influenze colte e classiche come Stravinskij e Johann Sebastian Bach, il che non è davvero cosa da poco. L'iniziale "Paradox" sembra già mettere sull'attenti tutti quanti offrendo un'incredibile quantità di dissonanze chitarristiche e stacchi di batteria impetuosi, e sempre molto presenti con continui cambi di tempo assolutamente aggressivi. Il chitarrista Agam Hamzah sembra essere posseduto dal demone di John McLaughlin tant'è che a volte sembra emularlo quasi alla perfezione (compresi gli incredibili assoli, sempre molto veloci ed incredibilmente intricati). "Stravinsky (with Bach intro)" offre invece una rivisitazione di basso iniziale del grande compositore tedesco, mentre il resto del brano è un continuo botta e risposta tra la chitarra, il basso e la batteria, senza un attimo di respiro. Con "Future" i musicisti abbassano leggermente il tiro con un brano che, pur prendendo sempre spunto dal free jazz, offre anche qualche influenza blues ad opera della chitarra, mentre con "Don Juan" l'atmosfera si fà più rilassata grazie ad elementi musicali che questa volta si rifanno al jazz più ortodosso e tradizionale. Il disco però torna di nuovo a far paura con brani come "Bliker 3" e "Etude Indienne", il primo introdotto dal pianoforte (il quale riesce ad imprimere un'atmosfera quasi lugubre) e dai consueti passaggi strumentali sempre molto articolati e animati dal solito groove jazzato, mentre il secondo richiama scenari tipici di certa musica esotica con le percussioni e la chitarra che si intrecciano continuamente. Il resto del disco offre sempre le stesse soluzioni musicali, riuscendo però a tenere viva l'attenzione dell'ascoltatore. Questo 'Dictionary 2' appare quindi un lavoro molto complesso e di difficile ascolto, con brani mediamente lunghi (il disco si attesta sui 73 minuti di durata), e soluzioni strumentali di grande complessità ritmica e armonica.
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