KAYLETH: Space Muffin
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23/08/2017Dopo il successo conseguito nel 2015, all'indomani dell'uscita del primo full length dei nostrani Kayleth, la Argonauta Records decide di bissare ripubblicando una versione di quello stesso disco riveduta nella veste grafica e arricchita di ben cinque bonus track tratte tutte dalla demo 'Rusty Gold' del 2010. Il quintetto convince fin dal primo brano dando prova di coesione e dimostrando di avere le idee ben chiare ed un forte background musicale alle spalle dal quale attingere per costruire le impalcature di questi otto brani che compongono questo narcotizzante pasticcino. Proprio in "Mountains" troviamo accennati quegli elementi chiave che caratterizzano i brani dei Kayleth; ritmiche serrate e fuzzose che lasciano spazio a veri e propri viaggi cosmici le cui atmosfere sono create dal sapiente uso del synth di Michele Montanari. Ritroviamo in questo disco le ambientazioni torride dello stoner americano vicine alle sonorità dei Kyuss, soprattutto in pezzi come "Secret Place", dove i nostri tirano più la corda e il groove si fa più granitico, unitamente alla voce graffiante di Enrico Gastaldo che dimostra di avere il phisique du role nella qualità di interprete vocale. Probabilmente, però, una delle più ampie dimostrazioni della matrice space rock che permea il sound dei nostri è costituita da "Spacewalk", brano dominato da un riff ossessivo nel quale emerge viva la componente atmosferica e dove la voce fuoricampo ci riporta con la mente a bordo della celebre Discovery One in viaggio verso altre dimensioni. Gli sconfinamenti sui territori dove psichedelia e space rock si incontrano però non sono rari e spesso costituiscono la base dove poggiano ispirati soli di chitarra, come in "Bare Knuckle" o le liriche dalle tematiche più intimistiche e riflessive come in "Born To Suffer"; mentre di matrice più smaccatamente hard rock si presenta un brano come "Try To Save The Apparences", tra i migliori del platter con il suo piglio settantiano e melodico che ricorda le ultime produzioni degli Spiritual Beggars. Dopo un narcotizzante e conclusivo brano strumentale veniamo al momento delle bonus track, che come già detto non sono altro che i cinque brani che componevano la demo 'Rusty Gold' del 2010. Questi ultimi sono connotati da una durezza e una ruvidità più marcata e questa è la prima differenza che salta all'orecchio. Brani come "The Electric Tongue Is" e "Rusty Gold", con le loro ritmiche serrate e dal sound puramente stoner viaggiano su up-tempo a briglia sciolta, mentre la componente space rock, meno presente in questa demo, si affaccia in brani come la lenta e meditativa "Deepest Shadow", dai riff settantiani e la rituale "Old Man's Legacy", che con le dovute differenze di sound, con le sue ritmiche lente e trascinate ricorda a tratti il misticismo e la solennità dei Caronte. Sicuramente questa è una interessante riedizione per chi non abbia ancora avuto modo di scoprire una simile realtà del panorama psych/stoner tutto italiano che si impreziosisce sempre di più con ottime uscite di pregevole qualità.
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