KAUAN: LUMIKUURO
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24/02/2008I Kauan sono una via mediana tra il pianeta Agalloch e il pianeta Tenhi, punti di riferimento ed ispirazione per una band russa molto ambiziosa, prodotta dalla BadMoodMan Music, intenta a curare la compagine più "moderata" e soft della Solitude Prod. Difatti si tratta di un album che è doom metal solo a livello concettuale, perché è la lunghezza prospettica dei suoni a dare quell'idea di spiritualità e di destino a cui non si può sfuggire. Suoni che sembrano essere nella materia interstellare praticamente da sempre, e pronti a viaggiare verso l'assoluto. Per questo più che una cura del particolare e della trovata geniale è possibile trovare una ricerca dell'ambientazione e dell'atmosfera. L'album si divide in due parti numerate "I", divisa in sei movimenti e "II" (tutta acustica), divisa in due movimenti. I Kauan sono un trio, due poli-strumentisti ed una violinista, le cui corde sono fondamentali all'economia della band, insieme a pianoforte e tastiera, il vero punto di forza di tutto questo progetto, nell'alchimia perfetta con il sassofono (ospite) che impreziosisce la versione acustica di "Syleily Sumu"(il capolavoro dell'album). Sono i legni russi e le vallate degli Urali che sussurrano nel vento e nella neve, nell'eco di un pallido pomeriggio invernale. Come un coro, uno dei tanti cori di stampo gregoriano che costellano il disco, tra una solenne declamazione urlata e l'altra. Una distesa di pastelli, quella tenue e soffusa rarefazione di forme e di cromature di chi ha come modello musicale sia la musica folk, sia la musica orchestrale, sia il metal estremo, nell'incessante e logorante tentativo di sintetizzarne il senso ultimo, in un album, 'Lumikuuro', non privo di ingenuità e di qualche parte grossolana, che deve essere necessariamente maturata, anche se "Aamu Ja Kaste" è già una sintesi perfetta e formalmente impeccabile (oltre che inaspettatamente moderna nel risultato ambientale finale). Il problema più serio tra tutti quelli che rendono la vita difficile a questo progetto è la confusione tra i fini, prima che tra i mezzi, perché sin dalla grafica della copertina non si capisce se è l'intimità ad essere ricercata (e quindi un tono dimesso, come nell'incipit pianistico della title track) o l'eleganza (e quindi un tono aulico, come quello dell'introduttiva "Alku"), in questo flipper di tendenze e vocazioni diverse delle parti più soft la band si perde più che nell'abbinamento tra doom, death, black (che poi è il background della band) e sprazzi ambient/folk; in altre parole, non è tanto il miscelare stili diversi e apparentemente molto lontani a mettere in difficoltà il mastro compositore Anton Belov (che adotta sempre l'arma vincente-unificante della tastiera ogni qual volta non riesce a riprendere più il filo del discorso), quanto il "taglio" da dare a quelle parti più leggere e sfumate che, pur suggestive, si perdono tra intimismo ed emotività e dall'altra parte i mille lavori di limatura acustica che in questo modo in parte distraggono. Le parti di chitarra dei passaggi "estremi", così impersonali e piatte salvo qualche rarissima eccezione (il miraggio intitolato "Savu" per esempio, perfetta sia sul delicato sia nelle brevi parentesi leggermente aggressive), mostrano ancora grosse lacune, come del resto tutte le parti vocali non pulite, quindi in un certo senso la seconda parte del platter è una manna dal cielo, da sfogo a quell'anima acustica e leggera molto cinematografica (vedi "Villiruusu") che probabilmente, almeno per ora, è il meglio che i Kauan possono offrire.
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