JOURNEY: Freedom
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15/07/2022‘Freedom’ è il miglior album dei Journey post Perry. L’astronave capitanata da Schon ci trasporta indietro nel tempo, quando posare la puntina sui dischi dei Journey presagiva provare forti emozioni: ogni singola canzone come una piccola opera d’arte, unica e pregiata, grazie alla fusione tra rock e jazz ed ai disparati colori che sapeva trasmettere, il tutto interpretato con stile raffinato ed elegante. Dal mazzo di ‘Freedom’ possiamo pescare più di un nuovo classico, e questo ha già del miracoloso dopo oltre 40 anni di carriera (siamo alle soglie dei 50…), ma finalmente sono le rinnovate scelte artistiche a decretarne la differenza: con l’ingresso di Narada Michael Walden (vanta un curriculum mostruoso: Mahavishnu Orchestra, The Temptations, Aretha Franklin e tanti altri) riaffiorano le partiture jazzate, legate al periodo aureo con Steve Smith dietro ai tamburi, ma anche una libertà compositiva ritrovata, lasciando scorrere gli strumenti, probabilmente frutto di ispirate jam session. Ma la novità sostanziale è rappresentata dall’approccio vocale di Arnel Pineda: canta, scrollatosi l’ombra ingombrante di Steve Perry, sfruttando le sue capacità, coadiuvato dal corista Jason Deralta (scelta azzeccatissima), che raddoppia le parti vocali, garantendone profondità ed una notevole rotondità ai cori. Piccoli, ma congeniali accorgimenti che rendono ‘Freedom’ tanto interessante e piacevole all’ascolto, se non fosse, e qui arrivano le note dolenti, afflitto da una produzione un po' confusa con la chitarra di Schon troppo flebile, causa forse di un mix finale che, invece di dare spessore agli strumenti, li ha impastati. C’è il rammarico per qualcosa di incompiuto, ed anche ingiustificato, ma nel complesso prevale la gioia di riascoltare una band ritrovata, che sembra abbia fortemente voluto ridare lustro alla gloriosa astronave.
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