IN FLAMES: COLONY
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13/11/2005“Colony”, quarto lavoro degli svedesi In Flames, rappresenta il passo della consacrazione per la band che più ha saputo rivoluzionare ed esportare il swedish sound; il disco arriva dopo tre parti di assoluto valore. Il precedente “Whoracle” mostrava una vulcanica esplosione di idee eccellenti, non a caso è il platter che contiene tuttora la maggior parte dei classici live della band come “Episode 666”, “Gyroscope” e “Jotun”. Arrivare a pareggiare il conto con un’uscita del genere sarebbe stato difficile, difficilissimo, e non a caso è proprio da qui, da “Colony”, che inizia in sordina il progressivo distaccamento dal classico Gotheborg sound. L’entusiasmante opener “Embody the Invisible” non ci dice granchè nulla di nuovo sullo stato di salute dei fiammeggianti; riff maideniani di presa immediata e ritmiche rocciose fanno il loro sporco lavoro alla perfezione. E’ dalla seguente “Ordinary Story” che cominciamo a notare le clean vocals di Anders, le tastiere soffuse, addirittura l’hammond introduttivo della scoppiettante title-track, brani nei quali passato e futuro si fondono a meraviglia, brani davanti ai quali non ci si può che prostrare. Ma gli In Flames pestano duro ancora con la massima naturalezza, si vedano “Zombie Inc.”, “Resin”, “The New World” o la riedizione del classico “Behind Space” originariamente contenuta in “Lunar Strain”, assolutamente da brividi. I testi sono per l’ennesima volta, ma sarà l’ultima, curati dal chitarrista dei Dark Tranquillity Niklas Sundin, da sempre amico della band e autore di liriche piuttosto criptiche ma come sempre affascinanti nei loro rivoli filosofici più arguti. “Colony” è il primo passo verso l’inarrestabile marcia degli In Flames, e un disco che conferma gli sbalorditivi precedenti senza troppi sforzi.
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