CRYPTOPSY: ONCE WAS NOT
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25/10/2005Premessa. I Cryptopsy non possono ricevere lo stesso trattamento delle band "comuni", non servono guanti di velluto o particolari valutazioni riguardanti attitudine o quant'altro per descrivere i loro lavori. Sono semplicemente una formazione che ha abituato bene l'audience estrema ed è quindi più che normale aspettarsi sempre qualcosa di eclatante. "Once Was Not" era uno dei comeback più attesi dell'anno, considerando sopratutto il ritorno dietro il microfono di Lord Worm e l'abbandono in piena fase di composizione di uno dei fondatori del gruppo, il chitarrista Jon Levasseus. C'era anche da chiedersi come questo lavoro sarebbe risultato a cinque anni di distanza dall'ultimo capitolo "...And Then You’ll Beg", un album per molti deludente che segna la massima evoluzione della band ma che, manco a dirlo, non si avvicina minimamente al capolavoro "None So Vile". In realtà l'ultima fatica del gruppo di Montreal sembra voler tenere i piedi su due scarpe e dare così il contentino sia ai fans della prima ora che agli amanti dell'approccio moderno presente in "Whisper Supremacy". Il problema è che tirando le somme nessuno dei due può ritenersi completamente soddisfatto. Perchè? I motivi sono molteplici. Innanzitutto dimenticatevi il Lord Worm di "Open Face Surgery". Il singer è decisamente sottotono ed è incredibile come sia tristemente a corto di fiato tanto da non raggiungere mai quel growl disumano e quelle urla deviate che lo resero "celebre". La produzione è un'altra nota dolente, con la batteria a svolgere il ruolo di protagonista e la chitarrista relegata a semplice comparsa (evidente come nei blastbeat la chitarra di Alex Auburn si senta appena). E' assolutamente comprensibile voler valorizzare la batteria avendo in formazione un musicista del talento di Flo Mounier, ma il mixaggio risulta troppo confusionario e lontano anni luce dalla pulizia degli ultimi due lavori. Tutto sommato il songwriting non è malaccio: in "Keeping The Cadaver Dogs Busy" Mounier dà prova di fantasia oltre ad una padronanza dello strumento incredibile (da manuale le partiture jazz), "Endless Cemetery" dimostra invece come Auburn sia un chitarrista con delle idee efficaci mentre "Adeste Infidelis" ha un approccio più "progressive" e mette in luce anche le doti di Langlois (per chi scrive uno dei bassisti più preparati del metal estremo). Non mancano anche episodi insoliti come "The Frantic Pace Of Dying", con quelle melodie ruffiane che quasi stonano con il resto della produzione dei canadesi. Si ha la sensazione di trovarsi ad ascoltare un lavoro composto da musicisti indubbiamente preparati, contenente dei buoni spunti, ma sicuramente non un album memorabile. Non basta la furia di "Endless Cemetery" per arruffianarsi i vecchi supporter come non basta la melodia di "The Frantic Pace Of Dying" per accontentare gli amanti del "bello". Noi intanto torniamo ad ascoltarci "Non So Vile" con la speranza che "Once Was Not" sia solo un album di transizione.
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