CRIMSON GLORY: TRANSCENDENCE
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18/03/2005Cos'è, in musica, quel concetto sfuggente ai più noto come "classe"? Si potrebbe pensare alla tecnica, ma basta pensare agli ultimi dischi dei Dream Theater per cambiare idea in fretta. Si potrebbe pensare alla produzione, ma vengono in mente diecimila bands di death svedese senza l'ombra di un'idea. E infatti il musicista che mostra classe non è nulla di tutto questo. Il musicista di classe è quello che sa scrivere BELLE CANZONI, usando al meglio i propri mezzi tecnici e produttivi per creare un'arte che non può offuscarsi col tempo. Una dote che è conferita a pochi, a pochissimi, e che in ambito US power metal trova la sua massima incarnazione nei Crimson Glory, la band dalle maschere d'argento, che dopo l'ottimo debutto omonimo sono stati capaci di realizzare uno dei migliori dischi power metal di tutti i tempi, lo stellare "Transcendence" di cui ci accingiamo a parlare. Non mutando di una virgola le influenze di scuola Maiden/Priest, i Crimson Glory vanno incontro però a una profonda evoluzione del loro modo di scrivere musica, arricchendo l'heavy metal potente e compatto con le melodie stranianti e suadenti che li hanno resi celebri, oltre che con trovate compositive di spessore quasi prog (compresi i tanto amati tempi dispari) e sempre più frequenti concessioni al campo delle power ballad, nonchè un ampio spettro di emozioni che passano dall'oscurità all'epicità con naturalezza e genuinità, rendendo "Transcendence" un disco che non solo rapisce per bellezza, ma colpisce anche per varietà. Ancora una volta è sugli scudi l'incredibile Midnight, per chi scrive il più grande cantante power metal di tutti i tempi, un ugola d'argento capace di destreggiarsi tra gli acuti spaccavetri (quello di "Red Sharks" è giustamente leggenda), e le interpretazioni più angosciose e funebri di "In Dark Places", a volte attore, a volte cantante, quel che si dice un artista completo. Ma anche il resto della band si difende senza problemi, in particolar modo le chitarre di Jon Drenning sono ancora più sorprendenti e convincenti che in passato, e così il drumming fantasioso ma compattissimo (di scuola McBrain) di Dana Burnell. E' grazie a questo e soprattutto all'enorme talento compositivo dei nostri se prendono forma canzoni tra loro diversissime come l'anthem "Lady Of Winter", l'epicissima "Where Dragons Rule" con tanto di marcetta, la monumentale e oscura "In Dark Places", la malinconica ballad "Painted Skies", e il capolavoro finale (degno seguito di "Lost Reflection"), la misterica e magica title-track, in cui le linee di melodia si sovrappongono a creare un quadro difficile da percepire con un'unico ascolto, ma la cui bellezza traspare cristallina in chiusura di un disco che veramente si stenta a credere possa non piacere.
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