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ARKENEMY: BELIEVE IN MYSELF

data

15/04/2004
40


Genere: Death Metal
Etichetta: Together As One Records
Anno: 2004

No, ragazzi, la "k" non è un errore di battitura: abbiamo davanti proprio gli Arkenemy, band italiana che nulla ha a che fare con gli svedesi capitanati da Angela Gossow. Nulla, a parte la presenza di una ragazza in formazione (che nei nostri conterranei ricopre il ruolo di chitarrista solista), e soprattutto il genere suonato: death metal melodico, nè più, nè meno."Believe In Myself" è la seconda fatica dei nostri, che spezza il lungo silenzio seguito al primo "Absolute"... e sinceramente, trovo che quanto contenuto in questo disco non giustifichi una così lunga assenza dalle scene. Il death metal di questo tipo, si sa, è ormai in una fase di inflazione che ha quasi dell'insopportabile, visto la quantità ormai giornaliera di nuove uscite dalla Madre Svezia (o da ogni parte disparata del mondo, he alla Svezia fa il verso), e gli Arkenemy non hanno assolutamente le carte in regola per sfondare in questo ambito così ristretto. A dire il vero, i nostri non ricorrono troppo alle abusate formule dei Dark Tranquillity, con relativi inserti maideniani, ma si rifanno più agli At The Gates di "Slaughter Of The Soul" e al loro sound acido, freddo e compattissimo. Anche il death americano meno brutale (ergo i Death di "Human"): occhio però che dei Death c'è giusto una spruzzatina, l'approccio della band è tutt'altro che intricato e ipertecnico, anzi è decisamente moderno e in-your-face, come s'usa dire: ogni tanto fanno capolino rimandi agli Strapping Young Lad di "City" nel minimalismo feroce di alcune canzoni. A rendere il prodotto decisamente poco interessante ci pensa in primo luogo la produzione, approssimativa e fin troppo distante, incapace di valorizzare alcunchè lasciando le chitarre in secondo piano e trasformando la batteria in una silhouette fredda e priva d'anima. In secondo luogo, la voce di Udo è assolutamente incapace di trasmettere la dovuta brutalità e partecipazione, anche quando si sforza di seguire le accennatissime melodie dei riff come ad esempio nell'opener "Mindscanner" o in "Nothing Can Save You". Ma quel che più indispettisce, è l'assoluta PIATTEZZA della musica. E' triste dirlo, ma sembra veramente che i riff di chitarra siano stati buttati lì in maniera incosciente e approssimativa, non c'è un solo pattern ritmico, un solo fraseggio, una sola sfuriata degna di essere ricordata, il tutto è banalissimo, talmente scarno da risultare insapore, privo di quella vena creativa che ritengo indispensabile in un genere come questo, che oltre a sparare le dovute mazzate deve anche creare begli effetti di melodia per risultare vincente. Si sarebbe potuto riparare questa incompetenza nel riff-making con una sufficiente aggressività, ma così non è stato: di tempi veloci nel disco non ce ne sono poi tanti, il tutto ricade nella solita formula di mid-tempo senz'anima e in cui la batteria, già di per sè, riesce a fregare il posto alla chitarra. Nel disco forse l'unico brano a salvarsi è "Knife_Blood_Pain", breve e sintetica, in grado di travolgere a sufficienza. ma è comunque un caso isolato in un susseguirsi di noiosissime canzoni basate non solo su una struttura abusata, ma neanche approfondita un minimo. Dubito che il disco possa destare l'interesse degli appassionati del genere, perchè rimanendo ancorato a basi scarnissime e fin troppo minimali, rimane un "nè carne nè pesce" poco appetibile da chiunque.

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